Boa Vista: nella città dei ‘garimpeiros’, in cerca di futuro
Una piccola comunità sacerdotale formata da tre fidei donum vicentini, che stanno spendendo la propria vita missionaria nella periferia di Boa Vista, diocesi di Roraima. La diocesi abbraccia un territorio grande quanto l'intera Romania. Le famiglie delle loro comunità provengono per lo più da altri stati brasiliani o dal Venezuela e, arrivando a Boa Vista, hanno bisogno di tutto...
Molti mondi si incontrano nella periferia di Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima. Nella parte più a Nord del Brasile che si incunea nel Venezuela, c’è una terra ricchissima abitata da un melting pot di umanità approdata in questi luoghi di forti contrasti – dagli agglomerati urbani spontanei e affollati alle lande desertiche, dalle zone di savana alla foresta amazzonica -. Agli Yanomami, si sono aggiunte ondate migratorie interne, e negli ultimi nove anni anche tante famiglie venezuelane. Tutti attratti dalle luci di Boa Vista, la città di frontiera dei cercatori d’oro – i cosiddetti garimpeiros – cresciuta in fretta negli ultimi decenni, che oggi conta circa mezzo milione di abitanti. Nel centro della città una statua celebra l’attività dei minatori pionieri di una attività che oggi è considerata illegale, molto nociva per l’ambiente e difficile da gestire dallo Stato brasiliano. La Chiesa brasiliana è molto critica in proposito, anche per le conseguenze di sostanze come il mercurio, usate dai garimpeiros, a forte impatto di inquinamento per le popolazioni indigene.
Qui dal 2009 la diocesi di Vicenza è presente con una comunità di fidei donum composta da don Attilio Santuliana, don Lorenzo Dall’Olmo, e dalla new entry don Alberto Dinello. Insieme sono impegnati in un’area missionaria, l’equivalente di una unità pastorale, composta di dieci comunità dislocate nella periferia di Boa Vista.
«Santa Rosa di Lima è uno dei dieci quartieri-sobborgo di Boa Vista, che a livello pastorale costituiscono un’area missionaria che non è ancora parrocchia – spiega don Lorenzo, 44 anni -. Noi missionari siamo co-parroci per le nostre comunità ma non c’è ancora il decreto che crea la parrocchia secondo il diritto canonico. Ci appoggiamo al vescovo Evaristo Pascoal Spengler della diocesi di Roraima, grande 220mila chilometri quadrati (praticamente quasi come la Romania)». Don Lorenzo è arrivato quattro anni fa dopo una esperienza in Perù per proseguire con l’esperienza missionaria della diocesi di Vicenza in America latina dopo la chiusura dei progetti in Colombia, Ecuador e nello stesso Brasile. Negli ultimi tempi, decisioni analoghe hanno riguardato anche le diocesi vicine di Padova e Treviso, creando le condizioni per un progetto interdiocesano di cooperazione missionaria unico nel suo genere.
«Le nostre comunità sono composte – spiega don Alberto -, da famiglie provenienti da altri Stati brasiliani, ma continua il flusso inarrestabile dei venezuelani per la crisi politica e economica del Paese da cui sono già fuggiti otto milioni di persone. Alcuni prendono la strada del Brasile e questa è la prima città che incontrano dopo la frontiera. Cercano casa, lavoro, una sistemazione, vogliono rialzarsi, ritrovare una speranza, un futuro per i figli. Lavorano come muratori o nell’industria del riso, fanno anche lavori occasionali o servizi domestici».
Staffetta missionaria
«Come missionari non vogliamo essere né avanti né indietro ma accanto alla gente – dice don Attilio Santuliana, 77 anni, da quasi 38 anni in missione, ormai vicino al rientro in Italia, per rispettare la “staffetta missionaria” dei fidei donum vicentini in Roraima -. Viviamo con un’umanità fragile, santa perché il Signore vuole bene a questa umanità, ma anche peccatrice. Facciamo del nostro meglio ma, se guardiamo i numeri, i risultati non sono molti. Però è la semente gettata, è il senso della nostra presenza qui. Ricordo quando sono arrivato qui quindici anni fa. Il vescovo mi ha detto: “Attilio, vieni con fiducia. Non è importante quello che tu saprai dire e fare. È la tua presenza che conta”. È vero. Siamo punti di riferimento, bisogna avere tanta fede e guardare avanti per essere uomini di speranza, sempre».
Don Attilio racconta la difficile situazione di molte famiglie, con donne sole, madri di più figli di padri diversi, che fanno fatica a tirare avanti da sole, lavorando. Tutto in questa zona parla di una grande mobilità. «Abbiamo circa 50mila anime ma è difficile dire una cifra esatta. I cattolici sono pochi, ci sono molte sétte protestanti: solo qui nella nostra strada sono rappresentate cinque confessioni religiose, una differente dall’altra».
Per l’accompagnamento dei migranti e di chi è in difficoltà è attivo il progetto sociale Il Pozzo della Samaritana, diventato un punto di riferimento per un centinaio di famiglie per l’advocacy, per generi di prima necessità e formazione (corsi di cucito, di inglese, portoghese e dopo-scuola per ragazzi). «Il nostro compito primario è quello di accompagnare le nostre comunità, di formare i laici – spiega ancora don Lorenzo -, abbiamo una ventina di ministri della Parola, dell’Eucaristia, i coordinatori delle comunità: nella Chiesa del Brasile i laici sono veramente protagonisti. Noi come padri accompagniamo queste comunità, cerchiamo di dare sostegno al loro cammino, perché crescano e siano un riferimento per chi vuole fare un cammino cristiano».
(di Miela Fagiolo D’Attilia – foto gentilmente concesse da don Lorenzo Dall’Olmo)