Vita del Santo
Carlo Borromeo nacque nel 1538 nel castello di Arona, sulle rive del Lago Maggiore, terzogenito di una delle famiglie più illustri e potenti del Ducato di Milano. Appartenente al nobile e influente casato lombardo dei Borromeo, crebbe in un ambiente colto e raffinato, amante dei fasti e delle tradizioni aristocratiche del tempo. Secondo gli usi dell’epoca, il fratello maggiore Federico era destinato a proseguire il nome della famiglia, mentre a Carlo fu riservata la carriera ecclesiastica. Dotato di vivace intelligenza e di grande disciplina, a soli dodici anni ricevette il titolo di “commendatario” di un’abbazia benedettina del luogo; a ventuno era già laureato in diritto canonico. Nel 1560, a soli ventidue anni, fu creato cardinale da papa Pio IV, suo zio materno, pur non essendo ancora sacerdote. Tre anni dopo, nel 1563, fu ordinato presbitero e consacrato vescovo. A ventisette anni assunse la guida dell’Arcidiocesi di Milano, entrando solennemente in città in sella a un cavallo bianco. Alla diocesi ambrosiana si dedicò con tutte le sue forze, fondando scuole, seminari e istituzioni caritative ed educative, tra cui il Collegio di Brera e il Collegio Borromeo di Pavia. Non esitò a vendere o donare ai poveri gran parte delle proprie ricchezze per sostenere le opere di carità. Visitate personalmente tutte le parrocchie della diocesi, nel 1578 istituì la Congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio, composta da sacerdoti secolari che emettevano il solo voto di obbedienza al vescovo. Durante la terribile epidemia di peste che colpì Milano – ricordata come la “Peste di San Carlo” – si prodigò instancabilmente per i contagiati. Promosse pubbliche preghiere e processioni di espiazione, partecipandovi scalzo, con una corda al collo e una croce sulle spalle. Fece celebrare la Messa agli incroci delle vie, affinché i cittadini potessero assistervi dalle finestre delle proprie case. Sfinito dai digiuni, dalle penitenze e dalle fatiche pastorali, morì nel 1584, a soli quarantasei anni. Le sue ultime parole furono: «Eccomi, Signore, io vengo, vengo subito». Lasciò tutti i suoi beni all’Ospedale Maggiore di Milano, suggellando così una vita interamente donata a Dio e ai fratelli.
Agiografia
«Tutte le vostre cose si facciano nella carità; così potremo superare tutte le difficoltà che, innumerevoli, dobbiamo affrontare giorno per giorno, e avremo la forza di generare Cristo in noi e negli altri». Con queste parole, pronunciate durante l’ultimo sinodo diocesano, Carlo Borromeo lasciò un vero e proprio testamento spirituale, che racchiude il tratto distintivo dell’uomo, del pastore e del santo: la carità come via maestra della vita cristiana e come fondamento della riforma della Chiesa. Papa Giovanni XXIII lo invocò tra i protettori del Concilio Vaticano II, riconoscendo in lui uno dei protagonisti più autorevoli del Concilio di Trento e un precursore del rinnovamento ecclesiale. Figura di grande carisma, citata anche ne “I Promessi Sposi”, Carlo Borromeo seppe coniugare l’impegno riformatore con un’intensa attività pastorale, distinguendosi per la sua carità, il suo zelo apostolico, la sua profonda dottrina e la sua vita di preghiera. Milano gli fu grata fin da subito: il popolo lo acclamò santo ancor prima che si concludesse il processo di canonizzazione. Questo sentimento di riconoscenza non nasceva solo dalla sua instancabile opera di pastore, ma anche dai suoi gesti semplici e concreti a favore dei più poveri. Si racconta, ad esempio, che arrivò a distribuire ai bisognosi i propri abiti cardinalizi, tanto che per le vie di Milano si vedevano persone vestite di porpora. Carlo fu anche un instancabile organizzatore e riformatore. Tra le sue priorità figurava la formazione del clero, che desiderava fosse solida sia sul piano intellettuale sia su quello spirituale. Per questo fondò seminari e scuole, con particolare attenzione alla preparazione dei sacerdoti delle piccole parrocchie di campagna. Promosse inoltre l’apostolato dei laici, incoraggiandone l’impegno non solo nell’ambito religioso, ma anche in quello sociale e associativo. Sentendo avvicinarsi la fine, volle tornare a Milano, affrontando senza timore un lungo e faticoso viaggio. Morì pochi giorni dopo, lasciando nella città un profondo dolore e una memoria indelebile. Il 1º novembre 1610, Papa Paolo V lo proclamò santo, additandolo come modello di carità pastorale e di autentico riformatore della Chiesa.
Intervista impossibile di Monsignor Andrea Migliavacca al Santo
Hai scelto di rispondere alla vocazione sacerdotale rinunciando a potere, titoli e ricchezze. Come è possibile, oggi, percepire la chiamata di Dio e rispondervi con coraggio? Quali suggerimenti pratici daresti a un giovane in ricerca?
Non è mai facile lasciare le proprie sicurezze, i legami importanti della vita, le proprie ricchezze. Ma ho sempre sperimentato che “lasciando” davvero, come dice il Vangelo, si ha molto in contraccambio e il dono di una pienezza di vita, laddove la riuscita sta nel donarsi e nel vivere belle e ricche relazioni. Ci sono anche esempi belli di giovani che si sono fidati e che hanno vissuto grandi o piccole imprese nella vita sperimentando il servizio. Penso agli ultimi santi proclamati nei tempi in cui vivete, come Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati. Ai giovani direi allora di provarci, di non dire di no a proposte ed esperienze di servizio, di amicizie nuove, di incontri, di preghiera. In poche parole, direi: ascolta, prega, guarda i testimoni, fidati, dona con generosità la vita, accogli.
Hai partecipato attivamente alla conclusione del Concilio di Trento e alla sua applicazione. Come possiamo vivere, oggi, una riforma della Chiesa che sia insieme strutturale e spirituale?
La Chiesa è sempre stata in stato di riforma, Ecclesia semper reformanda. Il Concilio di Trento ne è stato un eminente passaggio, nato in risposta alla riforma protestante e con l’intento di custodire e proporre il tesoro della tradizione. Recepire e applicare un Concilio poi, è sempre un’avventura impegnativa e difficile. Emergono resistenze, contrasti, tentativi di ritorni indietro o, meglio, «indietrismo», come lo chiamava Papa Francesco. Ma la Chiesa va avanti e può solo andare avanti, far crescere in comprensione il proprio depositum fidei. Per cui è un’avventura affascinante quella di accogliere, recepire e far vivere le novità di un Concilio e rinnovare così il cammino della Chiesa, perché sia sempre più evangelico. Il vostro tempo ha ricevuto un grande influsso di rinnovamento negli anni del pontificato di Papa Francesco, con il testimone ora preso da Papa Leone XIV. Dobbiamo tutti sostenere, in ogni tempo, il cammino di guida e di magistero che ci offrono i nostri papi e i nostri pastori. Dobbiamo anche sempre più ascoltare tutta la Chiesa, laici, religiosi e religiose. Tutti, proprio tutti. Un Concilio successivo a Trento, il Concilio Vaticano II, parlerà di un sensus fidelium. In questi ultimi anni la Chiesa tutta e anche le Chiese in Italia stanno vivendo l’avventura del sinodo. È una grande opportunità per vivere oggi la riforma della Chiesa, sia ripensando in questa luce, rinnovando un vero ascolto di tutti i temi di attualità, sia scegliendo la sinodalità come stile di essere Chiesa.
Durante la pandemia di peste hai coraggiosamente venduto i tuoi beni per soccorrere i poveri e i malati. Quale insegnamento offre il tuo esempio nel nostro tempo, segnato da guerre e calamità naturali?
La peste o la pandemia di Covid dei tempi contemporanei: sono momenti che mettono a prova tutti, i poveri e i ricchi, la gente di città come quella di campagna, credenti e non credenti. La Chiesa è chiamata a stare con la gente, ad aiutare tutti i bisognosi. La pandemia è stato un grande momento di testimonianza della Chiesa nella vicinanza, basti pensare ai cappellani degli ospedali che non si sono tirati indietro. E poi sono venute in questi vostri anni delle guerre tremende. E anche in questi contesti i cristiani, come è stato a Gaza, hanno dimostrato fedeltà e solidarietà. Oggi si può dare un contributo con la preghiera anzitutto, e promuovendo di pregare per la pace e la concordia. Oltre a questo, dobbiamo promuovere le forme di vicinanza e di solidarietà possibili. A Rondine, nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, si ospitano giovani di paesi attualmente in guerra che imparano a convivere, a gestire il conflitto e a non chiamare nessuno «nemico». Sono solo alcuni segni che dicono una Chiesa di vicinanza e stimolano ciascuno a fare la propria parte.
Hai affermato un principio di libertà evangelica, difendendo l’autonomia della Chiesa di fronte al potere politico. In che modo i pastori delle comunità locali possono oggi essere voce profetica, liberi da condizionamenti esterni?
I pastori oggi possono essere liberi da condizionamenti politici o di altro genere se annunciano il Vangelo. Un importante punto di riferimento sono i documenti del Concilio Vaticano II, quelli della dottrina sociale della Chiesa, le encicliche di Papa Francesco, l’esortazione apostolica Dilexi te di Papa Leone XIV. Emergono chiari i temi su cui i pastori non devono smettere di dire una parola chiara e di dare una testimonianza: la vita dal momento del concepimento fino alla fine naturale; la pace; l’aiuto ai poveri; l’attenzione al clima; il dialogo e la nuova fraternità; l’esigenza e il dono della vita spirituale; l’attenzione e l’educazione dei giovani. Sono solo alcuni dei temi su cui oggi spendersi per un mondo migliore.
Segni Iconografici distintivi
È ritratto in abito cardinalizio rosso porpora, simbolo del suo rango ecclesiastico e della disponibilità a versare il proprio sangue per la fede. Spesso tiene in mano il bastone pastorale, segno della sua autorità episcopale, o indossa la mitria e il pallio, che richiamano la dignità di arcivescovo di Milano.
Altri elementi frequenti nelle sue rappresentazioni sono il libro, simbolo della dottrina e della riforma ecclesiale, e il teschio, emblema della meditazione sulla caducità della vita terrena. Talvolta, l’arte lo ritrae nell’atto di compiere gesti di carità, come distribuire cibo ai poveri, assistere i malati di peste o pregare per la sua città: immagini che esprimono con immediatezza la profonda compassione e la dedizione pastorale che segnarono tutta la sua vita.
Tradizione gastronomica legata al culto
A Casalmaggiore, paese natale della madre di Carlo Borromeo, la memoria del santo viene celebrata ogni anno con grande partecipazione popolare. In occasione della sua festa, il borgo si anima con la tradizionale sagra del cotechino e del “blisgòn”, un tortello di zucca tipico della zona, ripieno di mostarda, zucca, amaretti e noce moscata, poi condito con burro e salvia o con un saporito sugo di carne. La sagra unisce devozione e tradizione gastronomica, trasformandosi in un momento di festa comunitaria, in cui fede, memoria storica e gusto si intrecciano. Tra le vie del paese si respira un’atmosfera di convivialità e riconoscenza verso Carlo Borromeo, figura tanto legata a questa terra attraverso le sue origini familiari.
Curiosità
Il “Colosso di San Carlo Borromeo”, comunemente chiamato “Sancarlone” – o “Sancarlòn” in dialetto locale – è una colossale statua di rame eretta ad Arona nel 1698 in memoria del santo. Alta oltre 23 metri (35 metri con il basamento), domina il Lago Maggiore ed è visibile da grande distanza. Considerata una delle statue più alte del mondo in epoca preindustriale, ispirò anche la realizzazione della Statua della Libertà a New York. L’opera rappresenta Carlo Borromeo in atteggiamento benedicente, con un volto sereno e uno sguardo rivolto verso la sua arcidiocesi di Milano. Di corporatura robusta e di statura imponente, come lo fu lo stesso santo rispetto ai canoni dell’epoca, il monumento simboleggia non solo la grandezza fisica ma anche quella morale e spirituale di Carlo Borromeo, divenendo nel tempo uno dei simboli più amati e riconoscibili del Lago Maggiore e della devozione borromaica.
Preghiere a San Carlo Borromeo
Glorioso San Carlo Borromeo,
che con impareggiabile ardore avete consacrato ogni cosa vostra, e voi stesso interamente,
alla gloria di Dio, al bene del vostro gregge e alla santa educazione della gioventù;
che nell’amore ferventissimo verso la Santissima Eucaristia, Gesù Crocifisso e la Vergine Benedetta
avete trovato il segreto per alimentare il vostro zelo e la vostra carità generosa,
raggiungendo un grado così eminente di santità:
volgete a noi uno sguardo pietoso
e otteneteci dal buon Dio lo spirito di orazione e il gusto della pietà,
affinché, nell’assiduo esercizio di una pietà solida e illuminata,
possiamo anche noi trovare difesa dai pericoli,
amore alla virtù e la via della nostra santificazione.
Amen.
(di Autore Anonimo)
Gloriosissimo San Carlo Borromeo,
modello di virtù e di costanza nella prova,
Tu che hai posto a servizio della gloria di Dio e della salvezza delle anime
tutti i doni ricevuti, fino a consumarti nello zelo apostolico,
impetraci dal Signore la grazia di seguirti nell’imitazione di Cristo,
come Tu fosti Suo fedele discepolo.
Ottienici lo spirito di sacrificio,
lo zelo per i nostri fratelli,
la fedeltà a Dio,
l’amore alla Chiesa,
la rassegnazione nelle avversità
e la perseveranza nel bene.
Fa’ che anche noi, riconoscendoci amati da Dio,
possiamo vivere nella Sua amicizia
e godere un giorno della Sua presenza eterna.
Amen.
(di Autore Anonimo)
Fonti
- I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire, Luigi Luzi, Shalom Editrice.
- Il grande libro dei santi, dizionario enciclopedico diretto da C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, San Paolo Editore.
- I santi secondo il calendario, prefazione di Gianfranco Ravasi, edizioni Corriere della Sera.
- Martiri e santi del calendario romano, Enrico Pepe, Edizioni Città Nuova.
- I Santi nella Storia. Tremila testimoni del Vangelo, San Paolo Editore.