A Bergamo, dove anche nel dolore fiorisce la speranza
Per ampliare i servizi della 'Casa Amoris Laetitia', aperta nel 2017 e gestita dalla 'Fondazione Angelo Custode' della diocesi di Bergamo, è stata recentemente inaugurata la 'Casa Minori e Famiglia Marina Lerma'. Operatori qualificati, 60 volontari e perfino una comunità di monache clarisse (che partecipa con la preghiera, il ricamo e le marmellate): don Alberto Monaci ci racconta come qui in tanti ritrovano il senso della vita.
Ci sono perfino due stanze SENSEI, multisensoriali, nella nuova Casa Minori e Famiglia Marina Lerma, inaugurata nei giorni scorsi a Bergamo. Tre piani per un’area di quasi 3.600 metri quadri, in via Morelli, che ampliano i servizi offerti dalla Casa Amoris Laetitia, aperta nel 2017 e gestita dalla Fondazione Angelo Custode della diocesi di Bergamo. Uno spazio interamente dedicato ai bambini con gravi disabilità e alle loro famiglie: piccoli che spesso non sentono, non vedono, non possono muoversi… eppure, qui, sorridono.
Merito di 80 tra operatori e medici e di 60 volontari che seguono i bimbi e i loro genitori, nel centro diurno, nel polo di Neuropsichiatria territoriale, negli spazi dedicati agli ambulatori e nel consultorio. Nella struttura sono presenti anche dei mini appartamenti per i nuclei familiari, come pure sale per la formazione e la ricerca. Tutto è pensato per rispondere alle esigenze dei più piccoli e delle loro famiglie, che sono seguite anche durante i percorsi domiciliari. La nuova Casa Minori e Famiglia Marina Lerma, in collaborazione con l’Asst Papa Giovanni XXIII e con l’Università degli Studi di Bergamo, offrirà anche occasioni di formazione relative ai percorsi di cura sperimentati, dedicati agli operatori socio-sanitari e alle diverse realtà educative del territorio.
Un progetto fortemente sostenuto dal vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi. «L’Angelo Custode è diventato grande – ha detto durante l’inaugurazione –. Non è una grandezza che si impone e questa è la forza dell’angelo: la sua forza risiede nell’amore, nella condivisione e nell’attenzione per l’altro». Questa «realtà – ha aggiunto – non eroga solamente dei servizi ma è una storia di comunità e la forza dell’angelo custode è la forza della comunità: continuerà a crescere nella misura in cui la comunità lo alimenterà. Dall’intelligenza comunitaria, infatti, nasce la cura della comunitarietà, ossia l’attenzione e l’impegno nel coltivare e mantenere un forte senso di comunità, che crea quell’atmosfera che respiriamo, non come l’aria ma in termini di sensibilità dei rapporti con gli altri. Come ha affermato in diverse occasioni Papa Leone, la nostra vita è fatta di incontri, durante i quali emerge ciò che siamo».
La tenda della preghiera
Al centro del giardino c’è una costruzione sormontata da un grande tetto rosso, spiovente, con bracci che arrivano fino al terreno. In alto, al centro, una croce di metallo. Opera dell’architetto Elena Valle, dell’iconografa Annalisa Vigani e del geometra Marco Rebussi, è la “tenda della preghiera”. Un tempo era «un ricovero per animali, poi adibito a deposito», ricorda monsignor Vittorio Nozza, presidente della Fondazione Angelo Custode. Oggi, invece, prosegue, «è un’oasi di riparo, sosta e ripartenza per tutti gli ospiti, le famiglie, i volontari e le persone di passaggio. Una tenda della preghiera per chi è alla ricerca di Dio. Il punto focale di una pluralità di servizi, dove la persona fragile è al centro dell’attenzione e della cura di tanti, rispettata nella sua integrità e dignità».
Qui ha presieduto la Messa di inaugurazione il vescovo Beschi, lo scorso 14 giugno. E qui si ferma in preghiera don Alberto Monaci, assistente spirituale della Fondazione e direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della salute. «Speriamo che la presenza della tenda possa incentivare la dimensione dell’accompagnamento della fede; è una cappella soprattutto per la preghiera personale», spiega.
“Faccio il caffè”
«Quello che faccio? Faccio il caffè – racconta con il sorriso –. Molto del mio impegno nella Casa si costruisce semplicemente con lo starci, con il prendere, appunto, un caffè con i genitori o gli operatori. Dalle piccole cose arrivano poi le grandi domande impegnative. Qui c’è una condivisione tra tante anime, sia i professionisti, che le famiglie e i volontari, e tutti hanno bisogno di accompagnamento spirituale».
Sostengono la struttura con la preghiera anche le clarisse del Monastero Sorelle Povere di Santa Chiara Boccaleone, quartiere alle porte della città, che hanno realizzato la tovaglia e il servizio per l’altare della cappella, o preparato «la marmellata per una festa dei bambini». Perché a Casa Minori e Famiglia Marina Lerma non ci sono solo storie di dolore, ma anche di speranza.
«Ricordo che c’era una bambina di pochi mesi – racconta il sacerdote –. La madre non l’aveva riconosciuta dopo il parto, forse proprio perché aveva una grave disabilità. E c’era una famiglia, che veniva qui perché avevano un bambino disabile, frequentavano il centro diurno e gli ambulatori. Ecco, hanno deciso di adottare quella piccolina e ora vivono tutti insieme». Dal 2017 ad oggi, 15 bambini sono stati accompagnati al fine vita. «Con queste famiglie c’è uno scambio molto intenso – spiega don Monaci –. Una volta avevamo una bambina, che chiameremo Lara. Aveva lesioni molto gravi perché la mamma era tossicodipendente e durante la gravidanza aveva assunto droghe. Poi era entrata in una comunità. Abbiamo celebrato qui il battesimo della piccola. Per la madre è stato un momento di svolta e un modo per ritrovare la sua dignità… Ha accompagnato Lara fino alla fine, ma in realtà è stata la bambina ad accompagnare lei».
(di Giulia Rocchi – foto gentilmente concesse dalla Fondazione Angelo Custode)