Aversa, le famiglie per la vita
Dalla “Rota degli Esposti”, che da sei secoli ad Aversa testimonia l'attenzione alla vita più fragile e indifesa, fino alle mille iniziative organizzate dall’équipe diocesana di pastorale familiare. In dialogo con don Massimo Spina, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia e della vita, e con alcune coppie, Giulia Rocchi ci accompagna alla scoperta di questa appassionata testimonianza.
Una “Rota” che parla ancora
L’attenzione per la vita, ad Aversa, affonda le sue radici nel passato. All’inizio del Quattrocento, nella cittadina campana, era già in funzione la “Rota degli Esposti”, dove venivano lasciati “i gettatelli”, i neonati frutto di una gravidanza indesiderata o gli ultimi nati in una famiglia che già faceva la fame. Oggi un museo – gestito dall’associazione AversaDonna – racconta la storia di quel luogo mentre l’Ufficio per la Famiglia e la Vita della diocesi di Aversa propone percorsi alla scoperta della “Rota” e del complesso dell’Annunziata.
«L’attenzione per la vita ha questo segno tangibile nella nostra città di Aversa e vorremmo valorizzarla, perché anche questo contribuisce a creare una mentalità diversa», spiega don Massimo Spina, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia e della vita della diocesi di Aversa.
«Non sempre – prosegue –, in caso di una gravidanza difficile, bisogna scegliere la strada più facile e uccidere la vita. Si può affidarla, come si faceva già in passato. Per questo portiamo anche i ragazzi delle scuole a visitare la “Rota degli Esposti”».
Quella di Aversa è una diocesi vasta e con un’alta densità abitativa, per metà in territorio napoletano e per metà casertano, dove le situazioni e le criticità sono diverse. Per dirla con Tolstoji, tante famiglie sono infelici a modo proprio. «Di questo tempo mi colpisce molto la denatalità – prosegue don Massimo – ma anche, dall’altra parte, la sofferenza di tante coppie, anche giovani, che desiderano un figlio e non riescono ad averlo. Ci stiamo interrogando su come stare loro vicino nel migliore dei modi».
Ci si prova portando la testimonianza. «Ricordo una coppia giovane – dice il sacerdote –; alla prima gravidanza avevano scoperto che il nascituro aveva la sindrome di Down. La proposta delle strutture sanitarie era di abortire e invece loro hanno scelto di portare avanti la gravidanza. La loro testimonianza è stata di grande aiuto per altre coppie. Per una ragazza, in particolare, che aveva litigato con il compagno e deciso di abortire. Dopo l’incontro con quella coppia ha cambiato idea. Questo è ciò che cerchiamo di fare sempre: mettere in rete storie ed esperienze, far conoscere chi fa la scelta di sostenere la vita anche quando è segnata dalla sofferenza. Raccontare è importantissimo».
La Settimana della Vita… e non solo
Sono le coppie «le protagoniste e il cuore della comunità ecclesiale», prosegue don Spina. Quelle che fanno parte dell’équipe di pastorale familiare sono il motore di tante iniziative portate avanti dall’Ufficio diocesano. All’inizio di febbraio si tiene, ad esempio, la “Settimana diocesana della Vita”.
«Alla Giornata della Vita, come consuetudine, sarà dedicata un’intera settimana in collaborazione con tutte le realtà della diocesi – spiegano –. Il programma, in via di definizione, prevede momenti pubblici, convegni, attività con le scuole, coinvolgimento attivo delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali». Senza dimenticare il percorso formativo per coppie guida, offerto a tutti gli operatori di pastorale familiare delle parrocchie; le giornate di spiritualità per famiglie e fidanzati; o la tradizionale Festa diocesana della famiglia del primo maggio.
Nell’équipe ci sono Carla Andreozzi e suo marito Raffaele Laiso, detto Lello. «Ci siamo conosciuti in parrocchia quando io avevo 26 anni e lui 35 e dopo poco più di un anno di fidanzamento ci siamo sposati», racconta Carla. «Sognavamo una famiglia numerosa, siamo sempre stati aperti alla vita – prosegue –. Il primo figlio è arrivato dopo un anno di matrimonio ma ho avuto diversi problemi con il parto e ho dovuto fare il cesareo. I medici mi sconsigliarono altre gravidanze, ma oggi abbiamo quattro figli». Tutti maschi. «Un dono di Dio», li definisce la mamma. «Con le altre coppie dell’équipe progettiamo il cammino per le altre famiglie, per i nubendi. Si cresce sempre e ci si arricchisce a vicenda, ci si continua a formare e imparare cose nuove. È un bel cammino».
Nel gruppo c’è anche Elsa, sposata con Edoardo e con un figlio in arrivo. «Da tre anni siamo nell’équipe di pastorale familiare, ma siamo impegnati anche nella pastorale giovanile – racconta –; siamo educatori della fascia che va da 18 in su. Quest’anno ci siamo dedicati in particolare alla formazione delle coppie guida e dei sacerdoti. La nostra attenzione è rivolta soprattutto ai nubendi, ma anche alle famiglie ferite, alle coppie con storie difficili alle spalle».
(di Giulia Rocchi – foto gentilmente concesse da don Massimo Spina)