Cagliari, dove la musica va oltre le sbarre
Il 3 luglio un concerto nel carcere “Ettore Scalas” di Uta (CA) ha fatto conoscere a tutti i frutti del cammino iniziato da un gruppo di detenuti (che hanno formato la band "Free Inside") insieme al cappellano, don Gabriele Iiriti. Tra gli spettatori anche un sacerdote che era stato aggredito da uno dei detenuti protagonisti dell'esibizione: dopo la richiesta di perdono, lo ha voluto suo ospite, come un famigliare...Grazie alla Chiesa, la musica scandisce la vita dei detenuti nella Casa circondariale “Ettore Scalas” a Uta, a una ventina di chilometri da Cagliari. Tanto da vedere la nascita nel 2020 di un gruppo musicale, formato da una decina di loro, protagonisti, lo scorso 3 luglio, di un concerto fortemente voluto dall’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi e organizzato nella cappella del Carcere nell’ambito del Cammino sinodale dal titolo “Camminare insieme… verso la libertà”.
Una musica che suona di perdono, riscatto, speranza, futuro: come nome per la loro “band” hanno scelto “Free inside” ovvero “Liberi dentro”, dal testo di una delle canzoni che loro stessi hanno scritto. «Benché rinchiusi – raccontano -, siamo comunque liberi di andare con la mente dove vogliamo». Il tutto inizia qualche anno fa, con il laboratorio di musica – una delle attività proposte dall’area educativa trattamentale all’interno della struttura – e con l’animazione musicale della messa nei weekend. «La musica ci insegna a stare insieme, a trovare una sintonia tra di noi». Durante il concerto, diversi brani musicali che raccontano la loro quotidianità, intervallati da alcune testimonianze sulle esperienze di vita, sul cammino compiuto in questi ultimi due anni, basato sull’ascolto e sul dialogo reciproco. Tra le storie c’è quella di Christian (nome di fantasia): disoccupato, due figlie, alla fine del 2019 arriva a commettere, insieme alla compagna, un furto in una delle parrocchie del territorio diocesano, arrivando alla colluttazione con uno dei sacerdoti presenti. E proprio quel sacerdote era lì seduto ad ascoltarlo cantare lo scorso 3 luglio, lui a cui Christian già aveva chiesto perdono e che ha voluto invitare al concerto – aperto solo ai parenti dei detenuti e ai volontari – come se fosse un suo familiare. Tra le testimonianze c’è anche quella di Paolo (nome di fantasia), che ha raccontato la gioia nell’aver consolato il suo compagno di cella, pronto per uscire ma poi nuovamente bloccato per altri 18 mesi per l’arrivo di un cumulo di pena. «Mi sono seduto vicino a lui per far sì che non vivesse quel momento di sofferenza da solo: è stato come il “camminare insieme”, che ho imparato da questo percorso sinodale». E ancora, nelle sue parole, la gioia nell’aiutare i nuovi arrivati, cercando di dare loro consigli e vicinanza.
Tutto ciò grazie a una Chiesa presente tra le mura carcerarie. «Il nostro impegno – racconta don Gabriele Iiriti, cappellano del carcere dal 2016 e direttore della Pastorale diocesana penitenziaria – manifesta il desiderio della nostra Chiesa diocesana di accompagnare il cammino, la crescita umana e spirituale di queste persone, per dare un senso alle loro giornate, ed evitarne la depressione. Le proposte non mancano – dalla musica allo studio, dalla lettura al giardinaggio -, ma noi cerchiamo di accompagnare la loro motivazione.
Con loro siamo impegnati nell’animazione delle messe, in colloqui, in momenti di ascolto; poi è nata l’idea di coinvolgerli nel cammino sinodale, ogni mercoledì pomeriggio».
«Lavoriamo in rete – continua – con la direzione carceraria, l’area educativo-trattamentale, la Caritas diocesana, gli altri uffici della nostra Pastorale, con le comunità terapeutiche, il Tribunale di Sorveglianza e le altre istituzioni locali».
Il nostro obiettivo è «rendere tangibile la presenza della Chiesa in questo luogo di sofferenza, creare qui una comunità cristiana misericordiosa, accogliente, che non giudichi ma dia fiducia. Una presenza di vicinanza, prossimità, speranza anche nei momenti più bui».
Diversi i progetti portati avanti dalla Diocesi, dal magazzino Caritas di beni di prima necessità, al laboratorio di uncinetto e bricolage per donne detenute, grazie ad alcuni volontari della Comunità missionaria di Villaregia, fino al progetto “Orti sociali in carcere”, insieme ad alcuni club del Rotary di Cagliari. Non manca l’attenzione fuori dal carcere con i progetti – portati avanti insieme alla Caritas diocesana – per gli affidati alle misure alternative ospitati, durante i permessi premio, nella Casa di accoglienza Leila Orrù – De Martini.
Inoltre, «sarà importante far sì che il cammino sinodale – conclude don Iiriti – possa avere una continuità nella comunità, facendo sì che essa sia pronta per accogliere il detenuto una volta scontata la pena, per ascoltare la sua testimonianza, far sì che non si senta solo. Per far ciò occorre creare una mentalità, facendo conoscere la realtà del carcere, il cammino percorso, e rendendo possibile il cambiamento».
(testo e foto di Maria Chiara Cugusi)