20 Luglio 2021

Cesare Bocci: “La vita è più forte di qualsiasi dolore”

Cesare Bocci si racconta, dall’infanzia nelle Marche fino al suo impegno sociale a servizio dei più poveri. Il ricordo di alcuni sacerdoti che gli hanno segnato la vita e la malattia affrontata e superata insieme a sua moglie Daniela.

Un paesino di 500 anime, Camporotondo di Fiastrone, una mamma insegnante, che ha da poco compiuto 100 anni, e un papà – già in cielo – veterinario: queste le radici della mia esperienza di vita e di fede.

Dai miei genitori ho imparato il rispetto di me stesso e degli altri e l’amore per il creato. Dal mio parroco di allora, don Genesio, l’amore per la Madonna e quello per il teatro. Ricordo – oltre a qualche scappellotto, perché eravamo delle pesti! – le preghiere nel mese di maggio e poi le recite nel teatrino parrocchiale, in dialetto marchigiano. Il mio confronto con la chiesa è continuato al liceo, a Tolentino, col mio insegnante di religione. A volte con don Rino (che oggi è a Recanati e ha più di 80 anni: ancora ci sentiamo!) discutevo anche animatamente, ma quel confronto mi è servito moltissimo e mi ha dato dei punti di riferimento.

La mia vita è cambiata tanto quando ho lasciato le Marche per approdare a Roma, e ricominciare tutto da capo inseguendo il sogno di lavorare come attore. L’amore per la famiglia però non l’ho mai perduto. Anzi, da quando ne ho costruita una tutta mia quell’amore è diventato ancora più grande. Con mia moglie Daniela cerchiamo di essere dei bravi genitori e credo che nostra figlia stia crescendo con i nostri stessi valori. Le difficoltà di salute di Daniela (colpita da un ictus dopo la nascita della figlia, e successivamente anche da un tumore al seno, n.d.r.) ci hanno uniti e fortificati e ci hanno fatto sperimentare il calore e l’abbraccio di chi ci è stato vicino: non ci siamo mai arresi e abbiamo riconquistato, in questo modo, una vita che all’improvviso sembrava ci fosse stata tolta. Difficoltà e dolore non ci sono certamente stati risparmiati… ma la bellezza della vita è sempre stata più forte.

Nella mia storia ho conosciuto diversi altri preti importanti e che mi hanno aiutato: don Rino e don Decio sono i due che ricordo più volentieri, perché

non sono mai stati su un piedistallo ma in mezzo alla gente, condividendone ogni esperienza.

Proprio come insegna Papa Francesco, del quale infatti sono letteralmente innamorato. In questo periodo difficile per la pandemia questo Papa è riuscito a trasmetterci una forza incredibile. E io sono profondamente convinto che anche noi laici dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Per questo ormai da sette anni giro il mondo con Save the children, di cui sono ambasciatore.

In Africa, in particolare, ho visto scene di violenza e di dolore terribili, con i bambini a farne le spese più di tutti. Dall’Uganda, al Sud Sudan, al Mozambico, potrei raccontare decine di storie strazianti, che ho visto con i miei occhi in questi anni. Storie che hanno una radice comune nello sfruttamento e nell’ingiustizia sociale.

Due di queste mi sono rimaste nel cuore più delle altre. La prima è quella di tre sorelline sudanesi, rifugiate in Uganda, che hanno assistito all’uccisione dei propri genitori da parte di una banda di criminali e si sono salvate per miracolo dalla stessa sorte, fuggendo. Noi le abbiamo trovate – sole e spaventate – e abbiamo permesso loro di andare a scuola e di ritrovare finalmente un poco di serenità. La seconda storia invece è quella di una giovanissima mamma del Mozambico, vittima di molteplici violenze, che abbiamo sottratto ad una situazione di maltrattamenti e umiliazione, restituendole una vita più dignitosa. Purtroppo quando sono tornato lì la terza volta, due anni dopo la sua “liberazione”, una infezione se l’era portata via. Per me è stato un dolore immenso, anche perché avrei voluto far adottare insieme i suoi figlioli e invece non è stato possibile. Nonostante tutto, però, non ritorno mai angosciato da questi miei viaggi, ma ogni volta torno più carico di speranza. Con un immenso desiderio di fare qualcosa. Mi rendo conto di quanto bene sia possibile compiere, quando a donare qualcosa, anche soltanto poco, siamo in tanti.

Io cerco di mettere la mia visibilità al servizio di questa causa:

in Africa non hanno tempo per la depressione, devono lottare. E io voglio fare lo stesso, in ogni modo.

(Cesare Bocci – a cura di Martina Luise)

20 Luglio 2021
raccontaci

Hai una storia da raccontarci?

Condividi la tua esperienza, ti potremo contattare per saperne di più.

Iscriviti alla nostra newsletter