12 Ottobre 2022

Hamed, dal tugurio a una vita nuova con don Santo (e tanti altri)

La storia emblematica di un immigrato tunisino che ha trovato nell'attenzione pastorale di un parroco di Ragusa e nelle cure generose di una intera comunità la via d'uscita da una situazione apparentemente disperata.

Profumi, sapori e clima insulare, immersi tra ulivi e carrubi, albe e tramonti mozzafiato. Siamo nel cuore della Sicilia, sui monti Iblei: qui sorge dal 1953 la parrocchia Beata Vergine Maria di Lourdes, al crocevia della contrada San Giacomo Bellocozzo, zona rurale della diocesi di Ragusa con 600 abitanti. Don Santo Vitale, 57 anni, parroco qui da 9, racconta di aver salvato dalla strada il tunisino Hamed.
“Tutto è cominciato da un incontro casuale 12 anni fa: sguardi che s’incrociano camminando. Ricordo Hamed allora, il suo essere sorridente, gioioso, vivace, umile e semplice, amava divertirci con le barzellette. Era arrivato con altri due amici dall’Africa. A un certo punto da Vittoria, in provincia, alcuni tunisini sono venuti a prenderlo. Dopo 6 mesi era diventato un altro: cupo, impaurito, dormiva all’aperto, beveva. Alcune famiglie sono state disponibili ad accoglierlo, ma lui voleva stare solo e soprattutto lavorare (territorio il nostro a vocazione agricola). Quello che di Hamed mi ha sempre colpito – sottolinea don Santo – è che non ha mai accettato denaro o regali da noi, dai suoi parenti, dagli abitanti della contrada. Purtroppo è affetto da un glaucoma non operabile dalla nascita e questo gli provoca problemi alla vista. Ospite per poco nelle famiglie, era passato in un centro di accoglienza per poi ritornare in parrocchia, trovandosi un alloggio in una scuola in disuso, senza finestre. Si riscaldava con il fuoco,

viveva tra cartoni, bidoni d’acqua, e vecchiume accatastato ovunque,

una dimora fatiscente, in cui lui riusciva a curare l’igiene personale, portando sempre con sé spazzolino e dentifricio. Dal supermercato comprava viveri e spesso alle casse risultava tutto spesato. Poi il dramma: qualcuno appicca un incendio nella scuola, i carabinieri lo trasferiscono a Bari. Tre anni fa aveva pensato di rientrare nella sua nazione, invece è ritornato in parrocchia. Seduto accanto a lui, come un amico fraterno, gli ho chiesto di parlarmi di sé. Mi mostrava bigliettini da visita di avvocati per il permesso di soggiorno (non si conosce ancora la sua età, probabilmente ne ha più di 40). La sua dignità mai scomposta non lo ha fatto precipitare in giri viziosi: è un tipo non violento. Però ha continuato a bere. Sia il supermercato che il circolo di caccia e pesca cittadino avevano nel frattempo acquisito l’indicazione di limitargli la somministrazione di alcolici. Nonostante tutto, trovato una sera ubriaco, e dopo aver chiamato il parroco in prima persona, gli è stato chiesto di controllarsi in ospedale. Beveva per ripararsi dal freddo in quella scuola e per compensare relazioni mancate: il vuoto della solitudine. Senza documenti non avrebbe potuto mai fittarsi una casa. L’intervento della Fondazione S. Giovanni Battista e dei servizi sociali del Comune di Ragusa sono stati decisivi”.
La Fondazione – spiega Renato Meli, presidente, che è anche direttore dell’ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro – fornisce servizi e promuove attività nei confronti del disagio, delle marginalità sociali e delle povertà dai primi anni ’80. Lavoriamo nel settore dell’assistenza socio-sanitaria, della formazione, del servizio civile, dell’intercultura e progettazione, forniamo assistenza tecnica ai percettori di reddito di cittadinanza (welfare di comunità). Non siamo il sottobosco, e vorremmo progettare insieme alla pubblica amministrazione. Tramite il centro di accoglienza SS. Annunziata la nostra Fondazione garantisce pasti pronti, servizio docce e distribuzione di generi alimentari, accoglienza diurna e notturna. La segnalazione del caso Hamed arrivata da don Santo ci ha permesso di dargli ospitalità in una casa famiglia nel Comune di Giarratana, a 10 km dalla contrada S. Giacomo, dove è rimasto poco tempo per poi ritornare in parrocchia . Fino a convincersi ad afferire al nostro Centro SS. Annunziata, dove

ha trovato la sua dimensione, con altri 50 ospiti

(disponibili 63 posti) ed un’equipe specializzata di 50 operatori. Hamed non possiede un orologio e neppure un cellulare e questo rende difficoltoso anche rintracciarlo, aspetta ancora i documenti, ma lavora. Lo abbiamo inserito – continua Renato Meli – nel progetto “Nuove Radici” della Fondazione, con altri 20 utenti, nato per avviare al lavoro imprenditoriale cittadini stranieri già residenti in Italia ed emergenti da situazioni di sfruttamento lavorativo. L’attività è finanziata dalla Regione Sicilia e co-finanziata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È una delle cinque iniziative di co-housing e co-produzione per la realizzazione di progetti pilota in agricoltura sociale innovativa mediante l’avvio di nuove imprenditorialità, per l’inclusione socio lavorativa di soggetti provenienti da paesi terzi, il contrasto allo sfruttamento del lavoro in agricoltura, soluzioni alternative al lavoro irregolare. Il progetto, che dura 6 mesi, viene portato avanti da una partnership composta dalla Fondazione San Giovanni Battista di Ragusa, ente capofila, “Oxfam intercultura” e “Terre senza frontiere” (Mazara del Vallo). Il tema del lavoro – precisa Meli – è un tema che tocca strutturalmente la nostra nazione. Noi ci stiamo impegnando affinché i diritti dei lavoratori siano rispettati secondo le leggi costituzionali e la dottrina sociale della Chiesa. Con “Nuove radici” vedremo nascere due start up che i nostri formatori accompagneranno nelle varie fasi del percorso. Emergere dal lavoro nero, infatti, non è sufficiente se non siamo capaci di offrire a queste persone un’alternativa valida per la sussistenza. Sono certo che qualunque risultato positivo lo si raggiungerà solo insieme. È nostro desiderio, oltre che dovere, dare il massimo affinché questo progetto porti frutti duraturi”.
di Sabina Leonetti

Don Santo: una vita da romanzo

Lo definiscono un prete sui generis. Don Santo Vitale, perito tecnico industriale, ha una formazione religiosa missionaria. Infatti dirige anche il Centro Missionario della diocesi di Ragusa. Scopre la chiamata dopo i 20 anni facendo servizio civile a Firenze per poi scegliere di interrompere un legame affettivo con una ragazza e studiare nel Seminario Comboniano. Segue il noviziato a Varese, il servizio nella parrocchia comboniana di Milano, il trasferimento a Londra per imparare l’inglese, lavorando in un ospedale come ausiliario, in un reparto di traumatologia e ortopedia. Studia teologia in America Latina, a Lima in Perù, per cinque anni viaggia dall’Ecuador al Perù – anni ’90 – dove acquisisce dimestichezza con la lingua spagnola. Vive sulle Ande per tre anni e mezzo in piena foresta, a San Lorenzo, in terra indios, nella regione Esmeraldas dell’Ecuador, al confine con la Colombia. Nei villaggi in Amazzonia il racconto di don Santo ruota intorno a sacrifici e privazioni: lavarsi al fiume, cibarsi anche di topi per condividere il pasto con gli indigeni, dormire all’aperto in enormi zanzariere. Fino a contrarre una febbre altissima ed una misteriosa malattia, tanto che il direttore della clinica privata di Quito in Ecuador, non essendoci altre possibilità per lui, gli pone di fronte un trasferimento: Atlanta negli Stati Uniti o ritorno in Italia. Decide di rientrare in Italia – 1997- con ricovero all’ospedale Sacco di Milano, dove è rimasto per un anno, proprio negli anni in cui si moriva di AIDS. Intossicato di farmaci e di morfina, si ritrova a scendere di peso dai 90 ai 45 kg. Sua madre da Ragusa lo riporta nella terra di Sicilia, nutrendolo con omogeneizzati. Il protocollo antitubercolosi gli risana le ferite intestinali, ma nessun medico gli fa diagnosi di TBC. Per poi giungere alla graduale ripresa nella deambulazione e ad una guarigione inspiegabile scientificamente, avvenuta nel 1998. Per un anno ancora ha dovuto fare day ospital ritornando ogni mese al Sacco per i controlli. Una crisi di fede e l’isolamento le tappe successive: unico conforto un amico seminarista che lo porta in braccio come l’amore di Dio Padre. Rabbia e paura si alternano, in un percorso fatto di piccoli passi, che hanno alimentato la fiaccola mai spenta della fede. Fino all’incontro con il Vescovo Rizzo, l’anno di teologia pastorale a Messina, l’ordinazione diaconale nel 1998 e a quella sacerdotale nel 1999. L’invito di don Santo è a scoprire sempre l’amore di Dio in tutte le sue vesti, a lasciarsi amare e parlare da Dio, ponendoci in ascolto attraverso gli altri e quello che viviamo.
(S.L.)

12 Ottobre 2022
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