10 Novembre 2025

La melodia della speranza risuona anche in corsia

Cinque anni fa, in pieno Covid, l'idea di incidere un brano coinvolgendo il personale dell'Ospedale Martini di Torino, dove ancora oggi don Peppe Logruosso, prestato a Torino dalla diocesi pugliese di Altamura, lavora come cappellano. E poi c'è l'impegno in una comunità terapeutica per giovani tossicodipendenti, che anche grazie alla musica riescono a ritrovare il filo di una vita che rischiava di perdersi.

È marzo 2020, l’Italia è chiusa in casa, ma nelle corsie dell’ospedale Martini di Torino, in piena pandemia COVID, gli operatori sanitari sono alle prese con la registrazione di una canzone. Il brano si chiama “Un po’ d’amore” e nascerà proprio qui, tra le fatiche e le paure di quei mesi difficili, come risposta creativa alla sofferenza. L’idea è di don Giuseppe Logruosso, oggi 41enne, originario della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, per tutti è don Peppe, e con la musica ci è cresciuto.
“Ha sempre fatto parte della mia vita”, racconta con il sorriso di chi sa che certe passioni non si scelgono, ma ti abitano. Dopo l’ordinazione sacerdotale, don Giuseppe entra a far parte di una band. Suona con i ragazzi cresciuti negli anni Ottanta e Novanta accanto a don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta. “Un’esperienza bellissima – ricorda – in cui la musica si trasformava in racconto di fede e conversione. Andavamo in giro per l’Italia a testimoniare l’incontro con Cristo attraverso le canzoni”.
Ma il cammino di don Giuseppe prende una svolta inaspettata nel 2018, quando viene inviato dal suo vescovo di allora, mons. Giovanni Ricchiuti, nell’arcidiocesi di Torino come sacerdote fidei donum. Iniziano sette anni intensi, vissuti come assistente spirituale presso l’ospedale Martini, una delle strutture sanitarie che, durante l’emergenza sanitaria del 2020-2021, diventa uno dei presidi di riferimento per i malati COVID di Torino.
Don Giuseppe si trova in prima linea, come assistente spirituale, accanto a medici, infermieri, operatori socio-sanitari che ogni giorno affrontano turni estenuanti, paura, incertezza. “Tra la fatica degli operatori sanitari, la sofferenza dei pazienti, il dolore e la paura di quel periodo difficile e incerto – riflette il sacerdote – ho capito che si poteva fare qualcosa di creativo, per accompagnare, ristorare e ridare speranza”.
“Ho rimesso mano alla chitarra – racconta don Giuseppe – e ho scritto il brano che il personale ospedaliero ha poi inciso e cantato. Circa una cinquantina di operatori che hanno accolto la proposta con entusiasmo e si sono messi in gioco. Anche il semplice fatto di girare delle scene per il video musicale ha permesso di vivere momenti di condivisione, creare nuovi legami e alleviare la fatica di quei giorni. Oggi quei momenti sono ricordi belli di un periodo difficile”.
Inoltre, dal 2020 al 2025, don Giuseppe e alcuni collaboratori mettono in piedi una radio interna all’ospedale, trasmessa in filodiffusione nelle corsie, per alleggerire il carico emotivo di chi soffre e di chi cura. “La radio era un modo per dare voce a chi non se la passava bene e la musica un modo per non lasciare solo nessuno e raggiungere chi fisicamente non poteva essere raggiunto”, spiega don Peppe. “Ma non solo. Tuttora, questo linguaggio è per me testimonianza di fede, che si esprime anche attraverso un genere musicale, quello del rap, che non sempre è ben visto ma che spesso parla la stessa lingua dei giovani».
Parallelamente al ministero in ospedale, don Giuseppe, in quegli anni, è anche inserito in una comunità terapeutica per tossicodipendenti, afferente al CTS (Centro Torinese di Solidarietà). Qui la musica torna ancora una volta protagonista, ma con una funzione diversa. Don Giuseppe avvia un laboratorio che dura più di un anno, in cui musica ed emozioni si intrecciano per aiutare i ragazzi a riconnettersi con i propri sentimenti attraverso le canzoni che hanno segnato la loro vita.
“In comunità la musica è un aggancio importante per questi ragazzi. Abbiamo scoperto insieme come molte volte ci sono brani che ascoltano in maniera distratta e che invece, se prestano attenzione, li riportano a momenti dell’infanzia, a momenti vissuti con la propria famiglia, a momenti in cui tra loro e gli altri non c’era la barriera della droga, ma solo sentimenti ed emozioni. La musica diventa così lo strumento per sbloccare ricordi, per piangere, per sorridere, per ritrovare pezzi di sé che sembravano perduti”, spiega emozionato.
Ora i ragazzi hanno scritto un loro brano, ancora inedito. “L’hanno fatto con un intento preciso – racconta il sacerdote -. Mi hanno detto: quando finiremo il percorso e ascolteremo questa canzone, ci ricorderemo da dove siamo venuti, come mai siamo qui, chi eravamo e chi vogliamo diventare. Il ministero sacerdotale è il filo che tiene insieme tutto, è l’identità profonda che dà senso a ogni cosa che faccio” – conclude.
Semi che attraverso la musica sono stati piantati in terreni difficili, come quello della fragilità umana e della sofferenza, della malattia e del dolore. Semi che col tempo germoglieranno per produrre nuova vita, forse lontano dagli occhi di chi li ha gettati. Ma don Giuseppe sa che nella logica del Vangelo, chi raccoglie i frutti non sempre è il seminatore.

(di Giacomo Capodivento – immagini tratte dal video delle Paoline “Un po’ d’amore”, di don Peppe Logruosso

10 Novembre 2025
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