26 Maggio 2023

Lugo: da Dio la forza per vincere il fango, insieme

Una disgrazia, certamente, ma da Dio sta arrivando la forza per attraversarla riscoprendo le cose più preziose che corriamo il rischio di trascurare, nella quotidianità. Da Lugo (RA), diocesi di Imola, la bellissima testimonianza di don Leo Poli e della sua giovane comunità. Tra loro tanti "angeli del fango"...

La domanda che risuona da più parti, social e media compresi, è sempre la stessa: “perché l’alluvione?
Perché “Dio non è venuto a toglierci le disgrazie, ma a darci la forza per attraversarle e, nell’attraversarle, ad aiutarci a capire di cosa abbiamo bisogno, anzi di Chi abbiamo veramente bisogno”. Non ha dubbi nel rispondere don Leonardo Poli, 65 anni suonati, ma con la voce e la verve di un ragazzino, parroco da 40 anni della Collegiata dei Santi Francesco e Ilaro in Lugo, provincia di Ravenna, diocesi di Imola, 32mila abitanti. E tuona sul Dio della vita e non della morte, dal pulpito della sua parrocchia datata 1223, rimasta illesa, come tutte le altre chiese cittadine, a fronte del livello dell’acqua pari ad un metro e mezzo rilevato nei dintorni. Lui che è stato tra i primi a rimboccarsi le maniche e a scendere nel fango, orgogliosamente figlio di contadini, lui che conosce il profumo della terra e il rigore dell’educazione paterna.

È riuscito, in poche ore, a mettere su una vera “macchina della solidarietà” nel Palasport di Lugo,

luogo di accoglienza degli sfollati e di smistamento della rete di aiuti con la Croce Rossa e la Protezione Civile.
Trecento i volontari tra giovani e adulti, tantissimi parrocchiani ciellini, studenti alle prese con l’esame di maturità, e soccorsi arrivati soprattutto dalle regioni del centro nord. A coordinare l’emergenza dei primi giorni al Palazzetto è Adriana Pasi, docente d’inglese all’Istituto comprensivo Berti in Bagnacavallo. “A dire il vero – racconta Adriana – facciamo parte del Movimento Comunione e Liberazione di cui è assistente don Leo e che alla Collegiata, parrocchia centrale di 5500 anime, ha il suo fulcro più attivo.
Ventitré corsi d’acqua esondati contemporaneamente non so se rendono l’idea della devastazione: avevamo già visto la prima alluvione ai primi di maggio, ma nessuno si aspettava un disastro simile in piena notte. La mia abitazione indipendente non ha subito alcun danno. Sant’Agata sul Santerno è tuttavia il Comune più devastato della provincia di Ravenna. Don Leo si è allertato subito nella chat della parrocchia, che conta 700 membri, chiedendo aiuto per l’accoglienza, il sostegno psicologico agli anziani, un servizio di baby sitting, la logistica al PalaSabin, messo a disposizione dal giovane sindaco Davide Ranalli. E soprattutto per spalare il fango prima che si asciughi. Un mare di solidarietà commovente per supportare chi ha perso casa e lavoro”.
“Mia madre ha 90 anni – continua la prof – e non ha mai visto niente di simile: gente saltare dalle finestre, persone intrappolate salvate con i gommoni, o recuperate sui tetti con gli elicotteri. E come in ogni tragedia gli sciacalli non si sono fatti pregare, soprattutto spaccando i vetri alle auto messe in sicurezza nei piazzali più alti, e rubando all’interno. Ma il bene sta trionfando, quel bene di cui siamo capaci e che spesso è represso. Noi cristiani abbiamo il dovere di tenere sveglio il cuore appellandoci al Vangelo.

Questa bellezza è stata impreziosita dai giovanissimi, prodighi verso gli anziani anche con un abbraccio. Non è Resurrezione questa?”  

Letizia Galletti, 18 anni, prossima a sostenere la maturità classica, figlia di Adriana, è una di questi “angeli del fango”. “Il Palasport è stato diviso in due zone – ci spiega -. Quella più grande adibita a dormitorio, la rimanente come magazzino di derrate alimentari, prodotti per igiene e pulizia. Il clima di empatia che si respira verso la fragilità è il mio vero esame di maturità. Alle catastrofi naturali non ci si può abituare, ma la ricompensa è data da questa catena di amore che ci esorta a dare il meglio. Lo sconforto, la sfiducia, la disperazione è quello che non avrei mai voluto vedere. In tanti – aggiunge Letizia – definiscono i giovani pigri, una generazione di sdraiati. Ma non credo che queste etichette corrispondano al vero. Anche prima di questo disastro, oltre a essere impegnata in parrocchia, ho coltivato tanti interessi: dal cinema, al teatro alla musica. Dobbiamo ripartire pensando a ciò che ci dà serenità e felicità”.
“Sicuramente questa alluvione non era nei piani di Dio – riprende indefesso don Leo, che pur correndo da una parte all’altra, si ferma per condividere la sua testimonianza -. Questo male viene dalla libertà data agli uomini che vogliono prendere il posto di Dio e che hanno creato disordine in terra rispetto alla perfezione del cosmo. La Terra è una povera creatura come noi, ferita dal male come noi. La natura è la cornice di un’opera d’arte e noi siamo il capolavoro dentro quella cornice, che spesso è rovinato dalla nostra presunzione. La parola che ho sentito pronunciare di più in questi giorni è stata: “Grazie!”. Noi siamo fatti per questo, solo che la gratitudine è come il grano: se non lo coltivi, si secca. Per questo Dio non cambia il mondo, ma i nostri cuori e dove ci sono persone come quelle che sono qui in questi giorni ad aiutare, lì inizia un’onda di bene che blocca l’onda del male. Serve l’educazione di un popolo, dei genitori, non dei figli, perché altre disgrazie ci saranno sempre. Ricordiamoci che

l’oro non si trova se non nel fango e che i fiori non nascono dai diamanti, ma dal letame.

Le prove servono per capire se la vita poggia su radici sicure. L’acqua ha portato via la coltre di cinismo che ci attanaglia, quella zavorra inutile, per ricordarci la nostra umanità, ma non ha distrutto i valori. Cristo è la nostra certezza e se ti fai mendicante Lui si fa vedere.” Ai parrocchiani don Leo propone sempre un luogo dove farsi compagnia, dove provare a vedere luce dalle crepe. E soprattutto non gli manca il sorriso. “Se la Chiesa è un’azienda – afferma – e se i preti sono tristi, è un fallimento”. Le sue messe sono affollate, anche al mattino, di studenti, 150 collaboratori fissi, e un’ironia che disarma: siamo cattolici – esclama – apostolici, romani e romagnoli. Come dire un gene in più, e questo non ci consente di lagnarci addosso”.
Il carisma di don Giussani è il suo valore aggiunto, e all’interrogativo “come stai veramente?”, risponde “da Dio. Perché ha fatto conoscere vicini di casa che a stento si salutavano. Perché ha coinvolto anche le parrocchie di S. Gabriele e San Potito con don Samuele Nannuzzi. Perché la recita del Santo Rosario può creare una catena dolcissima che annoda a Dio”.
E racconta di un nonno che pur sapendo dell’arrivo di suo nipote in città, vuole restare al Palasport con tutti gli altri. O di un amico a cui l’alluvione ha distrutto le porte, ma con lo spazzolino in mano esclama: “Non esistono situazioni avverse, ma solo uomini arrendevoli”. E poi ci racconta quel che gli ha detto Andrea: “Faccio parte di un condominio numeroso, di circa 30 unità, costituito da pochi anni. Le persone sono arrivate alla spicciolata, di fatto senza conoscersi. Fondamentalmente le uniche occasioni di comunicazioni avvengono in chat per lamentele varie e bisticci. Dinamiche comprensibili, ma spiacevoli di quando ci si trova a condividere spazi e strutture. In questi giorni sono saltati fuori dei rapporti splendidi e delle persone di spessore. In questo momento ci sono alcuni di loro di cui non so il nome, ma con i quali andrei con piacere a bere una birra. Siamo fatti strani. O forse più vero, viviamo in modo strano. Ci servono le sberle della vita per togliere il focus dalle stupidaggini e riconoscere il valore di ciò che ne ha”. 
Don Leo ci congeda con la testimonianza di un altro padre di famiglia: “I
nsieme ai nostri figli abbiamo pregato. Sicuramente c’è qualcosa davvero più grande della morte. Altrimenti ci resta solo la disperazione, il nulla e la rabbia. Ci troviamo ad affrontare questo dolore insieme a tanti amici, non da soli, e così diventa una vera benedizione. Nonostante tutto possiamo dire: che bello che Dio c’è, la vita è davvero bella”.

(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da don Leo Poli)

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