18 Ottobre 2023

Sugli altopiani il Vangelo porta pane e speranza

In questo ottobre missionario ecco una storia dal Kenya, dove don Giacomo Basso, fidei donum del patriarcato di Venezia, da 16 anni vive il proprio ministero. Tra le sfide che deve affrontare quelle della convivenza tra etnie diverse, dello sviluppo di tecniche agricole moderne e della necessità di creare occupazione, ma soprattutto dell'educazione delle nuove generazioni.

Alla missione di Ol Moran la giornata inizia prima dell’alba. Nel villaggio nella savana sugli altopiani del monte Kenya, la vita segue il ritmo delle ore di luce e alla sera tutte le attività si fermano, si va a letto presto. «È il ritmo di vita in una zona rurale, la gente vive soprattutto di giorno; essendo all’altezza dell’Equatore abbiamo 12 ore di giorno e 12 di buio. Si, c’è la rete elettrica, a volte un po’ disturbata, poi abbiamo i pannelli solari, i gruppi elettrogeni, ma nei villaggi più remoti non c’è luce e nemmeno acqua».
Così don Giacomo Basso, missionario fidei donum del patriarcato di Venezia in Kenya da 16 anni, racconta (malgrado gli alti e bassi della linea internet) la vita nel villaggio rurale di Ol Moran, trasformato dalle attività pastorali e sociali messe in moto dalla parrocchia di Saint Mark. Una chiesa che porta il nome del santo patrono di Venezia nel cuore di un territorio di circa mille chilometri quadrati della diocesi di Niahururu, nella parte centro settentrionale del Kenya.

Racconta don Giacomo che «ci sono grandi distanze da percorrere. Si tratta di famiglie di contadini o pastori, con circa 4.500 cattolici che seguiamo con celebrazioni liturgiche, catechesi per i giovani, incontri per le 45 comunità di base, per la formazione dei catechisti. La parrocchia di Saint Mark è un centro molto dinamico a cui fanno capo circa 20 comunità-villaggi sparsi sul territorio, con strade difficili e grandi distanze da percorrere». Proprio per una di queste comunità, il 26 luglio scorso è stata inaugurata una cappella presso la località di Lera, costruita grazie al contributo del patriarcato di Venezia.

Don Giacomo è arrivato qui nel 2007 e due anni dopo è diventato parroco di Saint Mark dove, dice, «gran parte del mio ministero è stato dedicato alla missione. Un servizio che dà soddisfazioni profonde, senza nessuna concessione alla letteratura dell’avventura, del sacrificio: mi trovo a fare il parroco in una comunità che presenta sfide importanti, ma anche molto feconde».

Una di queste sfide è la convivenza tra etnie diverse. Nella regione di Laikipia, vivono circa 10mila persone appartenenti a 12 gruppi etnici diversi, tra cui i Kikuyu, i Turkana, i Kalenjin, i Kisii, i Pokot e i Samburu, che sono la maggioranza. Un mosaico etnico che, se da una parte rappresenta una ricchezza, dall’altra è anche un rischio, come spiega il missionario originario di Mestre: «È una miccia sempre pronta ad accendersi, ci sono frequenti tensioni tra gruppi etnici, soprattutto tra contadini e pastori. Su queste differenze sorgono anche dei contrasti che purtroppo vengono strumentalizzati politicamente; durante le ultime elezioni presidenziali ci sono stati disordini».

E sebbene sul territorio non ci siano contrasti su base religiosa, i rancori tra etnie hanno comunque creato difficoltà anche nella storia della parrocchia. Ma anche quando ci sono stati scontri «la parrocchia è stata non solo luogo di rifugio ma anche di incontro, di riconciliazione, di integrazione sia a breve (nell’emergenza) che a lungo termine. La Chiesa può giocare un ruolo conciliatore a partire dall’educazione dei bambini».

Tra i progetti che stanno più a cuore a don Giacomo ci sono quelli agricoli sui terreni parrocchiali, che «contribuiscono a portare avanti le nostre attività e a favorire la sperimentazione. Siamo in una zona di piccoli proprietari terrieri, con una agricoltura tradizionale di sussistenza familiare; noi invece abbiamo introdotto alcuni alberi da frutto e puntiamo sull’apicoltura. La coltivazione delle api è un tema importante sul piano della biodiversità, anche per il frutteto per l’impollinazione, oltre a mettere in rete i contadini per creare una filiera produttiva».

Nell’ottica di quell’ecologia integrale di cui parla papa Francesco nella Laudato sì e nell’esortazione apostolica Laudate Deum, la parrocchia di Ol Moran sostiene molteplici attività tra cui il “circolo del pane”, nato «da quando abbiamo introdotto la coltura del frumento, ora diffusa sul territorio. Abbiamo messo in piedi un piccolo panificio della parrocchia che prepara il pane per la scuola, la casa studentesca e per chi vuole venirlo a prendere qui. Una iniziativa che ha creato un giro di lavoro tra quelli che piantano i semi, quelli che raccolgono le spighe, quelli che le macinano, quelli che impastano la farina e infine vendono il pane. È questa rete che per noi ha valore: è il pane nostro, che viene dalla terra, prodotto dalla collaborazione della gente di qui».

Oltre all’ambito sanitario in cui sono molto attive le suore Ancelle della Visitazione, la formazione dei ragazzi è un impegno centrale come spiega don Giacomo. «Abbiamo aperto 10 anni fa la scuola parrocchiale Tumaini Academy – racconta – in una zona dove non c’erano strutture scolastiche e ora abbiamo 380 alunni. Tumaini, in lingua swahili, significa speranza e rappresenta bene il nostro impegno per dare una offerta scolastica e una formazione cattolica alla comunità locale, anche grazie a un convitto in cui i ragazzi possono risiedere durante i mesi scolastici. Sui banchi i bambini sono formati a stare insieme, a conoscersi non solo studiando ma anche con lo sport, che è di grandissimo aiuto per far esprimere tutte le loro potenzialità. Non a caso proprio dagli altopiani del Kenya provengono atleti e corridori da record».

(di Miela Fagiolo D’Attilia – foto gentilmente concesse da don Giacomo Basso)

18 Ottobre 2023
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