18 Maggio
Giovane nobile romano, resistette a torture indicibili pur di professare la sua fede nel Signore. Venne martirizzato al tempo dell’imperatore Decio.
Venanzio
III Secolo
18 Maggio 250
18 Maggio
Giovane nobile romano, resistette a torture indicibili pur di professare la sua fede nel Signore. Venne martirizzato al tempo dell’imperatore Decio.
Venanzio
III Secolo
18 Maggio 250
Venanzio fu un giovinetto proveniente da una famiglia di origini nobiliari. Pur potendo usufruire di agi e privilegi, rinunciò ai suoi averi per abbracciare la sua incrollabile fede cristiana, in un’epoca di terribili persecuzioni. Venne convertito alla fede cristiana dal sacerdote Porfirio, che fu il primo a predicare il Vangelo nella zona dell’appennino marchigiano dove Venanzio visse. Intorno al 250 l’imperatore Decio iniziò a perseguitare i cristiani, Venanzio venne ricercato dalle autorità pagane della città e minacciato di tormenti e di morte se non fosse ritornato al culto degli dèi. Anche il prefetto di Camerino, Antioco, si mosse per convincere il giovane all’abiura della fede cristiana, ma senza ottenere alcun mutamento nei suoi intenti. Difficile anche solo immaginare il dolore e la crudeltà derivanti dalle torture a cui Venanzio fu sottoposto: fu flagellato, gli vennero accesi carboni sul capo, rotti i denti e la mandibola. Venanzio resistette a quelle violenze, finché non venne gettato in una cloaca per essere lasciato in pasto a cinque affamati leoni. Tuttavia, le fiere non lo toccarono, e si accoccolarono paciose ai suoi piedi. Si narra, inoltre, che Venanzio proseguisse ad accogliere e convertire al cristianesimo chiunque arrivasse pietosamente al suo cospetto. Il prefetto ordinò dunque di gettarlo dalle mura, ma venne ritrovato salvo e in preghiera. Trascinato tra i rovi dei boschi, proseguì ad essere protagonista di fatti prodigiosi: fece sgorgare da una roccia una sorgente, con la fresca acqua che servì a dissetare i suoi persecutori, che si accorsero dell’impronta lasciata sulla roccia dalle sue ginocchia. Molti di loro si convertirono alla fede cristiana.
Venanzio fu fermo ed impassibile nella fede nel Signore, oltre ogni dolore. Rimasto illeso dalle torture e attorniato dai soldati che assistettero ai prodigi con cui aveva superato quelle terribili e dolorose prove, prosegue a professare la sua fede e a convertire chi gli sta intorno, compresi i suoi persecutori. Il prefetto Antioco non dubita della fedeltà dei suoi soldati verso di lui, piuttosto accusa Venanzio di averli sedotti. Non riuscendo in nessun modo a farli desistere nel loro proposito di conversione, condanna dieci di loro insieme a Venanzio alla morte per decapitazione. «Il Dio di Venanzio è il vero Dio; abbattete i nostri dèi», disse morendo. Il luogo del martirio si trovava poco fuori dalla città di Camerino, dove poi venne edificata la basilica in onore del santo e dove sono venerate le sue reliquie e quelle del suo maestro sacerdote Porfirio. All’alba del 18 maggio, Venanzio – condotto alla sua fine con un sentimento di gratitudine e accoglimento verso il Signore che lo sta per accogliere tra le sue braccia – abbassa il capo per primo, per offrirsi al suo carnefice. Dopo la sua uccisione un violento terremoto distrugge la dimora del prefetto Antioco, che muore seppellito dai crolli. Con la Signoria dei Da Varano, dalla fine del 1200 Venanzio diventa protettore della città di Camerino. Nel 1259, durante il saccheggio di Camerino da parte delle truppe di Manfredi, le sue reliquie vengono trafugate e portate a Napoli, a Castel dell’Ovo. Furono restituite alla città di Camerino solo nel 1269, per ordine di papa Clemente IV.
Sei rimasto incolume tra i più aspri tormenti: secondo te, la grazia può sfidare le leggi della natura? Come?
Quando si parla di grazia si pensa ad un intervento divino, un’energia soprannaturale che supera le leggi naturali. La mia storia racconta che, sorretto dalla fede e dalla grazia, ho saputo resistere a torture fisiche e sofferenze inaudite. La grazia non ha eliminato la mia sofferenza, ma ha infuso in me un’energia con cui ho affrontato quel momento con una forza inspiegabile. Può sembrare che la grazia “sfidi” le leggi naturali: in realtà essa ha trasformato in me quelle leggi, non negandole ma sublimandole.
Provato in ogni modo, hai attirato ogni sorta di sofferente, facendo del bene a tutti: come spiegheresti la differenza tra empatia e compassione? Quale delle due senti più vicina?
L’empatia è un viaggio nel mondo emotivo dell’altro, una profonda connessione interiore. La compassione, invece, oltre alla condivisione del dolore, implica il desiderio di alleviarlo. Credo di aver vissuto profondamente la compassione, non solo condividendo le sofferenze altrui, ma recando conforto agli altri con azioni di cura e amore, trascendendo la semplice empatia. Ho alimentato sentimenti di amorevole attenzione non limitandomi a sentire il dolore altrui, ma affrontandolo con la cura.
Si parla tanto di libertà, ma tu quale libertà hai sperimentato nelle tremende persecuzioni subite?
Nella persecuzione vissi una libertà interiore che trascendeva le catene fisiche, una libertà che non cedette nemmeno di fronte ai tormenti più crudeli. La mia anima scelse sempre il Vangelo anche quando la sofferenza divenne estrema. Davanti a chi mi chiedeva di abiurare la mia fede, con l’aiuto di Dio rimasi incrollabile. La mia volontà e lo spirito rimasero liberi e potei testimoniare così la pienezza del mio amore a Cristo: il mio sguardo, infatti, rimase fisso su di Lui fino all’ultimo respiro.
A partire dalla tua esperienza, quali mezzi indicheresti per contrastare la forza pervasiva del male?
Nel corso della mia breve esistenza, ho vissuto la tentazione di cedere al male, ma ho resistito grazie alla fede incrollabile radicata nella preghiera, nella compassione e nella testimonianza. La preghiera è la relazione con Dio che ci dona forza. La compassione ha trasformato il mio dolore in sacrificio, in un atto di amore verso il prossimo. Ho affrontato la morte con dignità, restando coerente al Vangelo: questa è la mia testimonianza, il mio martirio. Il male, sebbene sia pervasivo, non ha mai l’ultima parola nella nostra vita.
È ritratto solitamente con in mano la palma, simbolo del martirio, e con il modellino o lo stendardo di Camerino, simbolo della protezione che egli offre alla città. I tratti distintivi richiamano sempre la sua giovane età.
Simile alla piadina romagnola ma più saporita per la presenza nell’impasto di uova e pepe, la “crescia sfogliata marchigiana”, è una pietanza tipica per festeggiare il santo. Buonissima da gustare a spicchi anche al posto del pane, per accompagnare le pietanze più svariate, la “crescia sfogliata marchigiana” dà il meglio di sé abbinata a salumi locali, formaggi e verdure. Il primo impasto per realizzare la “crescia sfogliata marchigiana” prevede solo quattro ingredienti (escludendo sale e pepe) e dopo un riposo in frigo di quarantacinque minuti si procede con la sfogliatura. In pratica è necessario dividere l’impasto in quattro parti di uguale peso, stenderlo sottilmente con un matterello, cospargerlo di strutto, arrotolarlo su se stesso dal lato più corto e poi lasciarlo riposare in frigo per circa trenta minuti prima di stenderlo nuovamente e procedere con la cottura su una piastra o in una padella antiaderente calda. Dopo la cottura potrete sbizzarrirvi per la farcitura.
Il santo è detto “acquaiolo” perché, secondo la leggenda, dopo la sua decapitazione, la sua testa rimbalzò tre volte, facendo sgorgare altrettanti zampilli d’acqua dalla terra. Questo gli ha conferito la reputazione di protettore delle cadute spirituali e materiali, oltre che di essere associato all’acqua stessa.
Giovane martire,
coraggioso San Venanzio,
tu che, con cuore libero e a viso aperto,
dinanzi ai tuoi persecutori
sapesti testimoniare l’amore a Gesù,
luce e salvezza di ogni uomo,
e andasti incontro alla morte per manifestare con coerenza
ciò in cui credevi e speravi;
ottieni a tutti i nostri ragazzi e le ragazze,
adolescenti e giovani,
la stessa libertà da ogni condizionamento
per poter sperimentare quanto sia gioiosa e ricca
l’avventura della vita,
trascorsa nella compagnia di Dio e dei fratelli;
ed anche a noi, adulti ed educatori,
ottieni passione ed impegno
per migliorare la crescita umana
e spirituale dei nostri giovani.
Amen.
O glorioso San Venanzio,
ti preghiamo di concederci la grazia di non temere il rispetto umano,
rafforzando la nostra fede per confessarla apertamente agli altri.
Affinché, come confessiamo Gesù dinanzi agli uomini,
Egli ci confessi davanti al Padre.
Amen.
Fonti
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