Vita della Santa
Non si conosce molto dei primi anni di vita di Margherita Lotti, ma sembra che i genitori si fossero sposati in età matura, tanto che la bimba nacque dopo circa dodici anni di matrimonio. Margherita, conosciuta da tutti come Rita, nacque nella frazione di Roccaporena, una piccola località rurale sita nei pressi della cittadina umbra di Cascia. Giovanissima, dovette acconsentire alla volontà degli ormai anziani genitori, sposando contro la sua volontà un uomo irascibile e violento, il risentito ghibellino Paolo di Ferdinando di Mancino, nonostante avesse manifestato più volte il desiderio di seguire la fede nel Signore abbracciando l’abito monacale. Suo marito le fece condurre una vita coniugale estremamente infelice, fatta di umiliazioni e tradimenti, mentre lei perseguì sempre l’intento di redimerlo, accompagnandolo verso una condotta cristiana e un modo di vivere dedito all’attenzione verso gli altri. Da lui ebbe due figli, probabilmente gemelli, molto influenzati dal padre. L’esistenza di Rita e della sua famiglia cambiò radicalmente intorno al 1406, quando Paolo venne assassinato: lei cercò in ogni modo di fare in modo che i figli non covassero un sentimento di vendetta verso i carnefici del padre; e pare che lei stessa conoscesse l’identità degli uccisori del marito, pur senza mai rivelarla. Giangiacomo e Paolo Maria, i due figli, muoiono molto presto l’uno dopo l’altro, probabilmente di peste: Rita rimase sola, finché non coronò il suo primo desiderio, quello di votarsi al Signore. Lo fece nel 1407 tramite l’ingresso nel Monastero delle Agostiniane di Santa Maria Maddalena, dopo diversi rifiuti da parte delle autorità preposte, poiché non era più illibata. Morì di tubercolosi il 22 maggio del 1457: il suo corpo incorrotto fu sepolto in un sarcofago ancora esistente, meta di continuo pellegrinaggio.
Agiografia
Rita da Cascia è una delle sante più invocate al mondo: il suo culto è oggi molto diffuso anche nei paesi latini, negli Stati Uniti d’America e in Irlanda; in Italia viene invocata come patrona dei casi difficili, in particolar modo di quelli che hanno attinenza con la vita matrimoniale, tanto che a lei si donano anche abiti da sposa o fedi nuziali. Quello per la santa di Cascia è un culto sempre più vivo, che ha oltrepassato indenne i secoli. La basilica a lei dedicata è luogo di pellegrinaggio quotidiano che culmina nel giorno della sua festa, il 22 maggio quando si benedicono le rose in memoria della sua richiesta sul letto. Chiese rose e fichi, che furono prodigiosamente trovati nel suo orto seppur fuori stagione. Le furono attribuiti diversi miracoli e nel 1446 fu costruita a Cascia una grande basilica: non solo un luogo di culto ma anche un esempio di accoglienza per ragazze in stato di fragilità che qui possono studiare e formarsi, circondate dall’amore di una grande famiglia. Rita, minata da dolori, rinunce e sofferenze, tuttavia non ne venne mai indurita, ma sposò appieno l’amore per il Signore, senz’altro tesoro all’infuori di lui. Monaca esemplare che usciva dalla clausura del suo monastero solo per assistere poveri e bisognosi, fece della sua vita un esempio di penitenza e devozione a Gesù crocifisso che la premiò durante un’estasi con una spina della sua corona che le si conficcò in fronte. La badessa del suo monastero pare che per testare il suo spirito di obbedienza le ordinasse di innaffiare tutti i giorni un rovo ormai secco. Rita obbedì e con il trascorrere del tempo lo sterpo – che in realtà era una vite – riprese a crescere. Ancora oggi, per la devozione popolare, la vite che si trova nel cortile dell’antico monastero viene riconosciuta come quella innaffiata dalla santa.
Intervista impossibile di Monsignor Renato Boccardo alla Santa
Come sposa, madre e consacrata, quale credi sia stato il filo rosso di queste tre dimensioni e che cosa potrebbe dire alla donna di oggi?
La chiave della mia esistenza è sempre stata la passione. Ho vissuto con passione tutti i diversi aspetti della mia vita, sempre sperimentando il dialogo e la comunione con il Signore. Da lì ho tratto la luce e la forza per vivere pienamente ogni momento che mi si è presentato davanti. Non ho scelto un marito violento, né la perdita dei figli, la vedovanza o la vita monastica: il Signore mi ha aperto davanti alcune strade, che ho percorso di volta in volta con passione. Questo è il messaggio che lancio alle donne, anche oggi inserite in situazioni personali e sociali non sempre pienamente favorevoli, chiamate dunque ad assumersi pesi e responsabilità a volte eccessivi. Se i diversi passaggi si vivono con amore e con un grande ideale, tutto diventa più facile: alcuni problemi certamente restano, ma si fronteggiano con un animo diverso, perché si sa da dove proviene la forza vitale per affrontarli.
Ti chiamano “la santa dei casi impossibili”: come hai sperimentato l’onnipotenza di Dio nella tua vita e in che modo oggi lo testimonieresti a chi ha perso ogni speranza?
Soltanto Dio può risolvere ogni cosa. Io sono potente presso il suo cuore perché ho vissuto un’amicizia intensa con Lui, gli ho fatto spazio nella mia vita. A chi sta perdendo o ha perso la speranza voglio dire di ricentrare il cuore e la mente sulle Parole di vita eterna di nostro Signore. Avere fede non vuol dire possedere il talismano della felicità o la pillola magica che risolve i problemi, tantomeno attraversare indenni sofferenze e fatiche. Gesù non è venuto a spiegare la sofferenza e il fallimento, è venuto a prenderlo su di sé. Io nella mia vita ho cercato di abbracciare questo insegnamento per abbracciare le prove che mi si sono presentate davanti: lo propongo anche oggi nel vostro tempo, tutti dobbiamo affrontare i momenti difficili che ci schiacciano con la consapevolezza di essere in compagnia di qualcuno che ha condiviso fino in fondo questa nostra stessa situazione e ci aiuta a vivere con sapienza anche il dolore. Non certo in maniera leggera o superficiale, ma sapendo che c’è sempre il Signore che ci sostiene, anche nelle situazioni di grande e continua fatica.
Sei stata mediatrice di riconciliazione e di pace: qual è stata la tua esperienza del perdono e come secondo te, in tempi come i nostri, è possibile diventarne strumenti?
Dobbiamo e possiamo essere strumenti del perdono. La violenza genera sempre violenza e non risolve nulla, ai miei come ai vostri tempi. Ho capito che, se i miei figli si fossero vendicati degli assassini del padre, questo non avrebbe fatto altro che generare ulteriori conflitti. Allora ho affrontato la questione da un altro punto di vista: se il moltiplicarsi della violenza vuol dire moltiplicare la morte, immettere nel tessuto sociale germi di vita e di perdono, di accoglienza reciproca e comprensione, avrebbe voluto dire neutralizzare quelle cellule di rabbia e risentimento. Nulla che si possa fare automaticamente, non basta uno slancio di buona volontà, ma ci vuole la conversione del cuore, occorre imparare. Un processo che richiede tempo e pazienza, finché le ferite ancora sanguinanti, pur rimanendo ferite, non diventeranno cicatrici. Il perdono riesce addirittura ad intaccare i cuori più duri: persino mio marito era diventato più dolce ed umano nei miei confronti, con la forza della preghiera, dell’accoglimento e del rifiuto della violenza.
In un mondo sempre più ossessionato dal profitto e dall’efficientismo, che senso può avere la scelta della clausura da te abbracciata in età matura?
Il senso è quello della gratuità. Il mondo sempre più appare preoccupato di avere successo, di produrre, di essere efficiente. In clausura, a parte qualche piccolo lavoretto manuale, il lavoro delle monache non incide – almeno apparentemente – sulla vita della società, sull’economia o sulla politica. C’è appunto l’idea della gratuità, quella di una vita donata per un ideale grande, per un desiderio di fare qualcosa di buono. La clausura oggi ci aiuta ad alzare lo sguardo e superare i limiti ristretti del nostro oggi, che ci propone un modo di spendere la vita che appare di orizzonti molto ristretti e limitati. In quest’ottica, la clausura diventa quasi una provocazione, una sfida a questo forsennato mondo dell’efficientismo, e aiuta a ricordare che nella vita c’è ben altro, oltre a quello che ci viene proposto abitualmente! C’è un ideale diverso che aiuta ad alimentare quella nostalgia di pienezza liberata da ogni altro condizionamento, che ognuno si porta dentro e tante volte cerca di addomesticare.
Segni Iconografici distintivi
È ritratta in abito monacale, segno distintivo che la identifica nella sua vita religiosa, con le stigmate in fronte oppure in uno stato di estasi. In molte rappresentazioni, la santa indossa il velo, elemento caratteristico dell’abbigliamento delle monache, oppure la corona di spine. Talvolta viene raffigurata con rose, uva o api, simboli che richiamano i miracoli a lei attribuiti.
Tradizione gastronomica legata al culto
Le “pastarelle delle monache” sono biscotti fatti a mano dalle monache Agostiniane del Monastero di Santa Rita da Cascia. Nate da un’antica ricetta, oggi si possono trovare al parlatorio di Cascia e fanno parte dei prodotti realizzati per raccogliere fondi a sostegno delle opere di carità delle monache.
Curiosità
A Cascia, in Umbria, l’Alveare di Santa Rita opera da quasi un secolo, fornendo assistenza, istruzione e cure mediche a oltre 60 ragazze bisognose. È un progetto di accoglienza – promosso dal Monastero della santa – che prevede l’accoglienza delle “apette”, così vengono chiamate le bambine e le ragazze in difficoltà, che in questo luogo trovano casa, famiglia e amore.
Preghiere a Santa Rita da Cascia
Cara Santa Rita da Cascia,
tu sei stata sposa, madre, vedova e, infine monaca agostiniana.
Hai conosciuto diverse condizioni di vita,
ma un filo d’oro ha unito tutte le stagioni della tua esistenza:
il filo prezioso dell’amore!
Cara Santa Rita da Cascia,
oggi il mondo sta vivendo una drammatica carestia di amore:
tante persone non sanno più amare,
perché l’egoismo sembra aver contagiato l’intera umanità.
Con la tua potente intercessione fa’ piovere dal cielo una pioggia di petali di rose:
petali di vero amore che arrivino al cuore
degli sposi, dei padri, delle mamme e delle persone consacrate al Signore.
Cara Santa Rita da Cascia,
una spina della Passione di Gesù entri nella nostra anima
e ci ricordi che l’Amore del Divino Crocifisso da tanto tempo aspetta la risposta del nostro amore.
Prega per noi, prega per la nostra conversione.
Amen.
(del card. Angelo Comastri)
O gloriosa Santa Rita da Cascia,
ottienici dal Signore la forza necessaria
per mantenerci fedeli a Dio e verso di noi.
Prenditi cura delle nostre persone,
benedici il nostro cammino,
perché tutto torni a gloria di Dio
e a nostro comune vantaggio.
Nulla mai turbi la nostra concordia.
Sia prospera la nostra casa, o Santa Rita da Cascia;
l’assistano gli angeli della pace,
l’abbandoni ogni maligna discordia,
vi regni sovrana la carità,
e non venga mai meno quell’amore che unisce due cuori,
che lega due anime redente dal Sangue purissimo di Gesù.
Amen.
(di Autore Anonimo)
Fonti
- I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire, Luigi Luzi, Shalom Editrice.
- Il grande libro dei santi, dizionario enciclopedico diretto da C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, San Paolo Editore.
- I santi secondo il calendario, prefazione di Gianfranco Ravasi, edizioni Corriere della Sera.
- Santa Rita degli impossibili. La storia d’amore e di sangue, di vendetta e di perdono di Rita da Cascia, Franco Cuomo, Piemme Edizioni.
- Santa Rita da Cascia, La vita e i luoghi, testi di Mario Polia, San Paolo editore.
- “La trattoria del cardinale”, Sabrina Vecchi, Paoline Editore.