1 Novembre 2016

‘Così i parroci ci hanno aiutato ad andare avanti’. Nonostante il sisma

Dal terremoto del Friuli che, esattamente 40 anni fa, vedeva alla prova l’appena nata Caritas Italiana, guidata da don Giovanni Nervo, a quello di agosto scorso sull’Appennino. Ecco come i sacerdoti, sostenuti dalle nostre Offerte, annunciano speranza e resurrezione.

Padre Savino D’Amelio non si è staccato dai suoi parrocchiani fin dai primi convulsi momenti della notte del 24 agosto. L’orologio della torre di Amatrice segna per sempre le 3.36. Come tutti, il parroco dormiva. Di soprassalto, è andato in soccorso degli anziani della Casa “Padre Minozzi”. Al buio, le macerie ostruivano il cammino, impedivano alle porte di aprirsi, dissolvevano scale. Non sa nemmeno lui come siano riusciti a portarli fuori tutti e 27 sani e salvi: “Sono stati gli angeli custodi” ripete. Quel che rimane della sua comunità è sparpagliato. Lui ha trasferito la chiesa in una tenda e accoglie qui i parrocchiani in cerca di conforto, sotto gli occhi buoni di un Cristo senza braccia.

Non vuole nutrire timori per il futuro: “Solo speranze. Finita l’emergenza occorre ripensare subito la città, dal punto di vista urbanistico, relazionale, umano. Siamo come rifugiati – aggiunge – con niente in tasca, sia in beni che in certezze. Dipenderà da noi risollevarci, poter rivivere”. Ha lo sguardo in avanti anche il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili: “Della ricostruzione non voglio parlare in teoria, ma attuarla ogni giorno. Il segretario Cei, mons. Galantino, è venuto di persona a rendersi conto della situazione e la disponibilità immediata di un milione di euro dall’8xmille, con la colletta nazionale del 18 settembre sono stati segni che ci hanno fatto sentire vicina tutta la Chiesa”.

(foto Gennari / Siciliani)

Don Elio Nevigari, responsabile diocesano per i beni culturali di Ascoli, è stato fino al 31 agosto il parroco di Montegallo. Per un miracolo in questa zona – vicinissima ad Arquata del Tronto – non ci sono state vittime, ma molte case in paese e nelle frazioni sono inagibili. Anche la sua. Immaginare il futuro su queste colline belle e disabitate è difficile. “A Montegallo – spiega don Elio – con le sue 23 frazioni ci sono o c’erano 600 residenti e 8 cimiteri. In 18 anni ho celebrato oltre 200 funerali. La gente che ha qui le radici, sebbene viva fuori per lavoro, nutre grande attaccamento a questi luoghi e vuole tornarci nel suo ultimo viaggio. In inverno in paese siamo in 200 persone, ma d’estate si affolla. Si aprono le seconde case, in realtà case paterne o dei nonni. E questo sarà il problema della ricostruzione: se si riedificano sole le case di chi ci abita stabilmente, il paese sparirà”.

Sono poi decine le pievi romaniche con la facciata pericolosamente staccata dal resto delle mura o sventrate come dopo un bombardamento. I preti si occupano di tutto: verifiche di agibilità, pastorale nei container, tra i parrocchiani senza casa o con l’attività commerciale ferma incoraggiano, orientano. La presenza di un sacerdote in questi momenti – spiega mons. Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli – è fondamentale. Se non fossimo presenti perderemmo il senso della nostra missione. In questo impatto difficilissimo con l’angoscia e la paura, un abbraccio ricevuto si ricorda per sempre.

(Chiara Santomiero)

1 Novembre 2016
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