1 Marzo 2016

Don Nilo, i giovani e il perdono come stile di vita

Don Nannini, 85 anni, ha creato percorsi di recupero per centinaia di tossicodipendenti. E dalla sua comunità sull’Appennino tosco-emiliano, spiega a genitori e figli il segreto per diventare grandi.

Abituato com’è a non apparire e agli operosi silenzi dei paesaggi dell’Appennino, don Nilo si schermisce con la sorridente saggezza degli anziani: “il fatto è che nei luoghi dove si patisce, è meglio starci dentro che parlarne”. Ma – aggiunge poi – “siamo ben consapevoli di essere appena un piccolo frammento della carità della Chiesa, della tenerezza della Chiesa che non ha mai ignorato la piaga della droga. Allora, come dice il Vangelo, non si accende una lampada per metterla sotto il moggio: è giusto che i segni che la Chiesa offre al mondo siano conosciuti”.

Don Nino Nannini, 85enne instancabile, ha fondato nel 1980 la comunità di Sasso-Montegianni di Marradi, a Borgo san Lorenzo (in provincia di Firenze e nella diocesi di Faenza-Modigliana). In 37 anni ha creato percorsi di recupero e riscatto per centinaia di tossicodipendenti venuti a rifugiarsi su queste montagne quando ancora non c’erano servizi e risposte sociali all’emergenza droga. Lo ha fatto grazie al suo carisma di educatore. E all’intuizione della sua “pastorale del perdono, dell’accoglienza e della responsabilità”. “Il perdono è rivoluzionario, perché non vuol dire non tener conto di questo o quel gesto: è piuttosto uno stile di vita – spiega –. Fa capire, a chi offre aiuto, che la tossicodipendenza – fenomeno complesso di fronte a cui non ci sono ricette e che oggi colpisce ragazzi sempre più giovani, ormai under 20 – è la risposta sbagliata ad un dolore, una compensazione di fronte ai fallimenti del narcisismo, del mettere se stessi al centro. Per chi viene qui, perdonare significa imparare a stare al mondo entrando nel segreto della vita e delle sue leggi: ossia che la tua vita è un dono, o non avrà mai la libertà che si nasconde nel superamento dell’io. Di questa notizia il nostro mondo iper-individualista ha urgente bisogno”.

I 75 giovani che per due anni dimorano qui, imparano a riassaporare il gusto delle relazioni, dell’amicizia, della solidarietà, della condivisione. Che spezzano l’isolamento della loro vita. Sotto lo sguardo “paterno e materno” ma soprattutto “non giudicante” della cooperativa Comes.

(foto di Cristian Gennari / Agenzia Romano Siciliani)

Porta d’ingresso della comunità sono i 12 posti del “Centro crisi”, dove i giovani vengono accolti “senza discriminazioni e senza requisiti” per superare la prima fase di richiesta di aiuto. “Di fronte a chi sbaglia o ha ricadute – rivendica don Nilo – noi non puniamo mai: dedichiamo tempo, a volte molto tempo, a capire come è nato l’errore e cosa fare perché non si ripeta”. Altri 14 posti sono poi per le madri con figli, dove giovani donne vengono affiancate nel superamento della dipendenza e nella costruzione della loro genitorialità. “Puntiamo molto sulla qualità delle relazioni: perché il valore di ciascuno di noi è dato dalla qualità dei rapporti che costruisce. Tu vali la relazione che costruisci con gli altri, con la tua creatività e gratuità: è questo che fa superare il conflitto, la rabbia, la negatività, i fallimenti”. Così vive e progredisce anche la comunità formata dai giovani che cercano di uscire dalla devianza, compresi molti detenuti affidati ai servizi sociali, e da chi, una volta concluso il recupero, si reinserisce nel mondo del lavoro attraverso l’azienda agricola della comunità, il telelavoro, l’officina, la falegnameria, la gestione del centro sportivo comunale di Marradi. “Questo è un passaggio importantissimo – spiega don Nilo – perché il sentirsi pronti ad affrontare la vita, finché si rimane in comunità può anche essere illusorio. Ma costruire l’autonomia in piccoli gruppi, mantenendo un legame con gli operatori, funziona”.

(Manuela Borraccino)

1 Marzo 2016
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