2 Dicembre 2015

La parrocchia di don Vincenzo e le grandi migrazioni

Dopo l'appello lanciato da Papa Francesco ad accogliere famiglie in fuga dalle guerre alle porte (dal Mediterraneo al Medio Oriente, dall'Afghanistan oltre che dai regimi di diversi Paesi africani) da Nord a Sud Italia, si aprono chiese, seminari, istituti religiosi e conventi. Qualche testimonianza...

Le parrocchie italiane scaldano i motori e mentre andiamo in stampa cominciano, seppure tra le difficoltà – dovute spesso ad anni di impegno e risorse già messe in campo in risposta al forte aumento della povertà nel nostro Paese – ad aderire all’appello lanciato da Papa Francesco di accogliere famiglie in fuga dalle guerre alle porte, dal Mediterraneo al Medio Oriente, dall’Afghanistan oltre che dai regimi di diversi Paesi africani. Da Nord a Sud, si aprono chiese, seminari, istituti religiosi e conventi.
Non è semplice, spiegano i responsabili delle Caritas, perché occorre che le porte vengano aperte seguendo le indicazioni dei protocolli delle prefetture, che spesso richiedono disponibilità non solo di vitto e alloggio, ma di un mediatore culturale o di servizio medico, specie per donne e minori. Ma dalle metropoli alle piccole realtà, in un’Italia crocevia europeo sul cammino di chi cerca una vita possibile, in alcuni casi l’accoglienza era già partita. Come nella parrocchia Beata Vergine Assunta a Bruzzano, nell’hinterland di Milano, guidata da don Paolo Selmi. Grazie alle centinaia di volontari e fedeli che si sono resi disponibili, l’opera parrocchiale ha preceduto le istituzioni e ha fatto scuola. Ogni giorno decine e decine di profughi, tra cui molte famiglie con bambini, trovano riparo nei locali dell’oratorio. Durante i mesi estivi, oltre 350 persone sono state accolte, per poi spesso proseguire il viaggio verso il nord Europa.
Anche nelle comunità più piccole la risposta non manca. Come nella parrocchia della Sacra Famiglia, a Pavia, dove don Vincenzo Migliavacca alloggia cinque migranti.

Da quasi due anni abbiamo offerto un tetto a chi non ce l’ha – racconta il parroco – come ci insegna a fare il Vangelo verso i bisognosi.

Abbiamo siglato un’intesa con la prefettura e appena c’è un posto libero lo segnaliamo e ci viene inviata nell’arco di un paio di giorni un’altra persona che ha necessità. Attualmente abbiamo un ragazzo proveniente dal Bangladesh, due dal Mali, due dalla Costa d’Avorio. Hanno a disposizione una camera, una cucina dove potersi preparare da mangiare. Appena arrivati diamo loro la possibilità di farsi una doccia, e un cambio vestiti. Inoltre grazie ai volontari funziona un corso di dieci ore settimanali di italiano. E hanno un posto dove pregare.
In questo momento ad esempio, i migranti che ospitiamo sono tutti musulmani. Ma ho sperimentato che la convivenza, in tempi di cambiamenti profondi, come quelli che viviamo, si costruisce così: accoglienza, rispetto per le tradizioni e il credo di ciascuno, e reciprocità.
Così, camminando lungo una strada nuova, la Chiesa italiana resta profondamente fedele a se stessa e alla sua missione.

(Serena Sartini)

(Foto Romano Siciliani)

2 Dicembre 2015
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