17 Maggio 2024

Per i ragazzi di don Francesco la vita ricomincia

Una casa per detenuti in misura alternativa italiani e stranieri: è la scommessa di don Francesco Pirrera, parroco a Valderice, paese affacciato sulla splendida costa trapanese e cappellano del penitenziario di Trapani. Manuela Borraccino è andata ad incontrare lui e alcuni dei suoi "ragazzi"...

Salman è sbarcato in Sicilia dal Marocco nel 2010, a 27 anni, con il sogno di aprire una piccola ditta di import-export con il suo paese. Il lavoro come mediatore ovvero «punto di incontro tra due culture» in alcuni centri di accoglienza, la nascita di un figlio, poi nel 2019 l’inizio di un incubo: accusato di un crimine per il quale si è sempre proclamato innocente, viene condannato a 13 anni di reclusione. «In quei primi giorni in cella, quando non avevo nessuno con cui parlare – racconta – don Francesco è stato la mia àncora di salvezza». Salman è così diventato uno fra i ragazzi accolti dal 2017 ad oggi nella casa canonica di don Francesco Pirrera, 58 anni, parroco della chiesa matrice di Cristo Re a Valderice e cappellano della casa circondariale di Trapani. Secondo dati del 2020 del Ministero della Giustizia sono 1500 i sacerdoti autorizzati ad entrare nei 220 istituti penitenziari italiani, ma sono solo poco più di 200 quelli che lo fanno a tempo pieno e pochissimi quelli che aprono delle case di accoglienza per detenuti in misura alternativa.

«All’epoca vivevo qui con mia zia» dice don Francesco facendo strada nella casa accogliente e piena di luce adiacente alla parrocchia dove campeggia un ritratto di Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. «Dopo che avevo accolto l’invito del Vescovo ad andare incontro a questi nostri fratelli ristretti – spiega – mi resi conto che quel poco spazio che avevamo potevamo metterlo a disposizione dei detenuti che non avevano un posto dove andare quando ottenevano un permesso premio o delle misure alternative alla detenzione». Così ha ridotto i suoi spazi privati: ha allestito cinque letti in una grande camera, ristrutturato un bagno ad esclusivo uso degli ospiti, adibito a fumoir la piccola terrazza dalla quale si gode una vista mozzafiato sulla costa trapanese. «Il mio è un servizio non solo ai detenuti – spiega don Francesco – ma a tutta la realtà carceraria e alle istituzioni: è molto importante lavorare in stretta collaborazione con il direttore del carcere, gli educatori, i magistrati per cercare di tirar fuori queste persone dalla detenzione e aiutarle a reinserirsi nella società: non c’è cosa più bella che il Signore mi ha dato di compiere. Le difficoltà? Quelle non mancano mai, ma proprio perché il Signore mi ha raggiunto,

cerco di andare a tu per tu al cuore delle persone

per costruire un’alternativa alla vita che ha condotto questi ragazzi in carcere».

Marwan, 37 anni, era arrivato in Italia in cerca del fratello, che ha scoperto poi essere detenuto nel penitenziario di Trapani, ed insieme a lui – non avendo ancora casa né lavoro – è stato accolto da don Francesco per quasi un anno. Oggi lavora come cameriere in un ristorante. «Quando non avevo un posto dove andare e non avevo nessuno che mi aiutasse – racconta – don Francesco e le suore mi hanno accolto in casa:

mi hanno fatto sentire un figlio e non uno straniero.

Siamo andati insieme a comprare delle piante per il giardino perché riprendessi il mio lavoro di giardiniere, ora mi stanno aiutando a cercare una casa».

L’altro pilastro di questa casa famiglia è in effetti la piccola comunità di tre religiose delle Suore della Carità di Namur che affiancano il parroco nella cura pastorale dei detenuti: a suor Domenica De Gori, psicologa di formazione e con una lunga esperienza nelle carceri e in ospedale, si sono aggiunte le due congolesi francofone suor Magdalene e suor Marie Jeanne. «Vogliamo creare uno spirito di famiglia per questi ragazzi, e soprattutto dare loro amore – rimarca suor Domenica, per tutti suor Mimì – far sentire loro che sono pensati da qualcuno: non si tratta solo di dare loro un tetto, del cibo, vestirli, curarli, ma soprattutto aprire delle porte, dar loro delle speranze per l’avvenire. Don Francesco cerca sempre di trovare lavoro per questi ragazzi: a volte ci riesce, altre no. Però loro avvertono che c’è chi pensa al loro futuro e talvolta dicono a don Francesco: sono quello che sono grazie a te».

Dopo aver vissuto quasi due anni e mezzo con don Francesco, Salman ha avuto la gioia di poter dimostrare la sua innocenza ed è stato assolto per non aver commesso il fatto. Oggi ha riavviato anche grazie a don Francesco la sua attività commerciale ed è «in cammino». «Don Francesco è più di un padre per me» dice lapidario. «Non dimentico quando mi alzavo di notte a pregare durante il mese di Ramadan, e lo sentivo pregare anche lui nella cappella accanto alla mia stanza: quante volte lo abbiamo visto mangiare il nostro stesso cibo, rinunciare al vino a tavola per rispetto a noi…. È stato bellissimo respirare la libertà nel professare la mia fede islamica gomito a gomito, lui sacerdote cattolico ed io musulmano ospite in casa sua, negli anni nei quali abbiamo vissuto insieme».

(testo, regia e produzione del video di Manuela Borraccino – Riprese, foto e montaggio del video di Giuseppe Aiello e Tommaso Minaudo)

17 Maggio 2024
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