Don Dario: vincere la dipendenza dal gioco d’azzardo è possibile
Don Dario Roncadin, parroco di San Vito, Modesto e Crescienza Martiri a San Vito al Tagliamento, già dal 2014 è in prima linea nella lotta alla dipendenza dal gioco d'azzardo. "La fede non è un mondo lontano dalla gente. Per noi diventa un'esperienza di cittadinanza attiva e responsabile".Una fede mai separata dalla vita quotidiana. Per don Dario Roncadin, parroco di San Vito, Modesto e Crescenzia martiri a San Vito al Tagliamento (Pordenone), la battaglia anti-slot è traduzione dell’appello di papa Francesco a essere Chiesa in uscita.
Il suo impegno in difesa dal dilagare dell’azzardo comincia nel 2014: con un gruppo di giovani apre un presidio locale dell’associazione Libera (coinvolgendo anche il vicino comune di Casarsa), a sostegno della campagna nazionale anti-slot. Ci ha sostenuto anche una ricerca della Caritas diocesana di Udine che denunciava una situazione allarmante: da novembre 2011 a ottobre 2012 attraverso i giochi erano stati rastrellati in Friuli Venezia Giulia 900 milioni di euro. Ci ha raggiunto inoltre il grido dei servizi sociali, che seguono casi di famiglie distrutte.
Don Dario ha promosso una prima serata di sensibilizzazione, con la partecipazione di 200 persone, e la richiesta pubblica di spegnere le slot in alcuni periodi dell’anno.
E i risultati sono arrivati. L’amministrazione ci ha sostenuto. Diversi cittadini si sono avvicinati e alcuni esercizi pubblici hanno aderito all’iniziativa.
Quindi a luglio scorso una serata di testimonianze, seguita da metà ottobre fino al 2 dicembre da un percorso formativo destinato a cittadini attivi in associazioni e gruppi, per monitorare bisogni, segnalare situazioni di disagio e fare prevenzione tra i giovani.
Anche attraverso interventi nelle scuole, con la cooperativa Piccolo principe, in collaborazione con l’azienda socio-sanitaria su bando regionale.
«La fede non è un mondo lontano dalla quotidianità della mia gente. Per noi diventa un’esperienza di cittadinanza attiva e responsabile. La Chiesa non è una palestra di atleti: è un ospedale da campo dove incontri quotidianamente situazioni dolorose, da fasciare e curare».