10 Marzo 2023

Dieci anni di Papa Francesco e i sacerdoti, “ostinati nel bene”

Da quando è diventato pontefice il 13 marzo 2013, Bergoglio non ha mai smesso di promuovere una Chiesa in uscita e di invitare sacerdoti a sporcarsi le mani, essere uno con le comunità, farsi custodi di gioia. Per il decimo anniversario del suo Pontificato, vi proponiamo le sue riflessioni più belle su questo tema.

Un pastore con addosso l’odore delle pecore. Vicino a Dio, al vescovo, ai presbiteri e al popolo. Ministro di misericordia e compassione. Ostinato nel bene, vero «apostolo della gioia». Che non faccia «il pavone», che non indugi al chiacchiericcio, che non pensi alla carriera. In dieci anni di pontificato, attraverso omelie e discorsi, Papa Francesco tratteggia in modo chiaro il profilo del sacerdote. Prete di strada prima di diventare vescovo, cardinale e infine pontefice, Bergoglio ha le idee chiare sul sacerdozio: è un dono che Dio fa ad alcuni uomini, e che questi devono poi donare a tutti gli altri, tenendo sempre «gli occhi fissi su Gesù» e prendendo come modello e riferimento Cristo, Buon Pastore. Una sintesi del suo pensiero sul tema, Francesco la offre nel 2016, in occasione del Giubileo dei sacerdoti, nell’Anno Santo della Misericordia, i primi tre giorni di giugno di quell’anno. Attraverso le meditazioni tenute nelle basiliche romane e nella Messa celebrata la domenica in piazza San Pietro, indica uno stile pastorale preciso. Il sacerdote, dice il Papa, «non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno.

È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso.

Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene». Si tratta di una ostinazione sana, da declinare in positivo. «Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso – è un altro passaggio dell’omelia di Francesco del 3 giugno 2016 –. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il Buon Pastore non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a comporre le liti». Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco parla dei sacerdoti ai sacerdoti. Appena un paio di settimane dopo l’elezione a Sommo Pontefice, il 28 marzo 2013, presiede la Messa del Crisma. Subito, nell’omelia, inizia a delineare le caratteristiche di quello che, a suo avviso, è il «buon sacerdote». Lo si riconosce, spiega in quell’occasione il Papa, «da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia». Il Santo Padre invita i sacerdoti a uscire, andare nelle «“periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni». Poi il monito: «Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco – non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione – si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore». E la celebre conclusione, ripetuta in tante altre occasioni:

«Questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello».

Anche l’anno seguente, sempre in occasione della Messa del Crisma, Papa Francesco torna a parlare di pecore e di felicità, disegnando, con le sue parole, il ritratto di un prete pieno di «gioia sacerdotale», che «fluisce solo quando il pastore sta in mezzo al suo gregge e per questo è una “gioia custodita” da questo stesso gregge. Anche nei momenti di tristezza – spiega –, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata». Sono concetti che torneranno, anno dopo anno, durante questo momento in cui il vescovo di Roma si trova con i suoi sacerdoti.

Ma le occasioni di parlare del sacerdozio non mancano, nel corso degli anni. Lo spunto sono, spesso, le ordinazioni presbiterali per la diocesi di Roma, dove elargisce consigli per i nuovi preti. «Abbiate quella capacità di perdono che ha avuto il Signore, che non è venuto a condannare, ma a perdonare – li esorta l’11 maggio 2014 a San Pietro –! Abbiate misericordia, tanta! E se vi viene lo scrupolo di essere troppo “perdonatori”, pensate a quel santo prete del quale vi ho parlato, che andava davanti al tabernacolo e diceva: “Signore, perdonami se ho perdonato troppo. Ma sei tu che mi hai dato il cattivo esempio!”. E io vi dico, davvero: a me fa tanto dolore quanto trovo gente che non va più a confessarsi perché è stata bastonata, sgridata». O ancora, l’anno seguente: «Che le vostre omelie non siano noiose; che le vostre omelie arrivino proprio al cuore della gente perché escono dal vostro cuore, perché quello che voi dite a loro è quello che voi avete nel cuore (…) È brutto un sacerdote che vive per piacere a sé stesso, che “fa il pavone”!».

Con i sacerdoti Papa Francesco parla chiaro, secondo lo stile che lo contraddistingue. Li invita a non cedere al carrierismo, alla vanità, alla seduzione del denaro. Non li rimprovera, ma li esorta e incoraggia. Così dice il 25 aprile 2021, ad esempio, sempre in occasione delle ordinazioni presbiterali: «Per favore, allontanatevi dalla vanità, dall’orgoglio dei soldi. Il diavolo entra “dalle tasche”. Pensate questo.

Siate poveri, come povero è il santo popolo fedele di Dio. Poveri che amano i poveri.

Non siate arrampicatori. La “carriera ecclesiastica”… Poi diventi funzionario, e quando un sacerdote inizia a fare l’imprenditore, sia della parrocchia sia del collegio…, sia dove sia, perde quella vicinanza al popolo, perde quella povertà che lo rende simile a Cristo povero e crocifisso, e diventa l’imprenditore, il sacerdote imprenditore e non il servitore». A febbraio dell’anno scorso si tiene il simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”. L’intervento di Papa Francesco apre i lavori, in Aula Paolo VI, il 17 febbraio. Tra ricordi e riflessioni, il Santo Padre parla delle sfide che attendono i sacerdoti del presente e del futuro, i cambiamenti prodotti dalla pandemia, la crisi delle vocazioni. Ma il sacerdote, «più che di ricette o di teorie», ha bisogno di «strumenti concreti con cui affrontare il suo ministero, la sua missione e la sua quotidianità», afferma Bergoglio. Sono le «quattro vicinanze» che «seguono lo stile di Dio»:

la vicinanza a Dio, al vescovo, tra i presbiteri, al popolo.

«Davanti alla tentazione di chiuderci in discorsi e discussioni interminabili sulla teologia del sacerdozio o su teorie di ciò che dovrebbe essere – dice –, il Signore guarda con tenerezza e compassione e offre ai sacerdoti le coordinate a partire dalle quali riconoscere e mantenere vivo l’ardore per la missione: vicinanza, che è compassionevole e tenera, vicinanza a Dio, al vescovo, ai fratelli presbiteri e al popolo che è stato loro affidato. Vicinanza con lo stile di Dio, che è vicino con compassione e tenerezza».

(di Giulia Rocchi)

10 Marzo 2023
raccontaci

Hai una storia da raccontarci?

Condividi la tua esperienza, ti potremo contattare per saperne di più.

Iscriviti alla nostra newsletter