20 Marzo 2023

Giacomo Poretti: “Chi ha la fede non può essere triste”

Giacomo, non solo allegria e spensieratezza. Una vocazione artistica che attraverso il teatro, anche quello comico, può aiutarci a ritrovare il senso di quello che viviamo ogni giorno. Il ricordo dei sacerdoti che hanno segnato la sua vita, artistica e di fede, e l’impegno, anche come genitore, nell’educare le nuove generazioni.

Giacomo, all’anagrafe Giacomino Poretti, è un personaggio poliedrico. Oltre alla collaborazione artistica con Aldo Baglio e Giovanni Storti, con i quali da oltre trent’anni diverte l’Italia, sempre con garbo e acume, c’è molto di più. C’è un percorso di vita affascinante e pieno di sorprese (cfr. box biografico qui sotto), segnato da due figure di sacerdoti molto diverse tra loro ma entrambe fondamentali. Innanzitutto c’è il prete della sua infanzia a Villa Cortese, don Gian Carlo Re (scomparso nel 2022 a 82 anni).
Una figura di parroco davvero d’altri tempi, grazie al quale il piccolo Giacomino scopre la sua passione per il teatro. È così?

Sì, è proprio così. L’oratorio, dalle mie parti (ma un po’ in tutto il Nord Italia) aveva una tradizione molto radicata e noi ragazzini, dalla prima elementare in poi, dopo la scuola e nel fine settimana eravamo lì. Don Gian Carlo, parroco allora giovanissimo, si occupava di quasi 300 ragazzi. Per noi era qualcosa di meraviglioso: si poteva giocare a calcio, c’erano spazi tutti nostri e c’era perfino un piccolo teatro-cinema. Don Gian Carlo era innamorato del teatro e ogni anno allestiva almeno un paio di spettacoli, attingendo per il cast alle persone del paese. Tutti andavano a vedere quegli spettacoli e un anno fui scelto anch’io, insieme ad altri due ragazzini, per interpretare il ruolo di un bambino. A lui devo la scoperta di questo serissimo gioco, che è il teatro, perché mi insegnò a stare sul palco, come muovermi, come dire le cose e vincere la paura della scena. Fu bellissimo.

Poi però il rapporto con la fede e con la Chiesa ha attraversato un periodo di raffreddamento. Un periodo durato, invero, diversi anni, fino a quando l’incontro con un altro sacerdote non ha riacceso la fiamma…

Come accade a molti adolescenti, anch’io fui ribelle nei confronti della mia famiglia e delle cose che mi erano state insegnate, tra cui appunto la fede. Nel 2000, a 44 anni, con Aldo e Giovanni fummo invitati a presentare il film “Chiedimi se sono felice” al Centro Culturale San Fedele di Milano. Accettammo non senza qualche perplessità ma l’incontro col Direttore del Centro, il gesuita padre Eugenio Bruno, fu una folgorazione. Da quella serata in poi io e mia moglie Daniela iniziammo a frequentarlo regolarmente e padre Eugenio è stato nostro padre spirituale finché è stato in vita, nel 2011. Ci ha sempre legato a lui un rapporto speciale. Anche altri padri gesuiti, però, sono entrati profondamente nella nostra vita famigliare: padre Guido Bertagna, padre Carlo Casalone, padre Claudio Barreca, solo per citare i primi tre nomi che mi tornano alla mente ma ce ne sono tanti altri, sacerdoti e anche suore che porto nel cuore, nonostante la mia vita mi porti a stare spesso lontano da casa.

In questi ultimi anni anche la tua esperienza artistica, sia attraverso i libri e gli articoli sulla stampa che tramite il teatro, è stata segnata profondamente dalla tua ricerca spirituale e dalla tua sensibilità religiosa. Ma in fondo anche l’esperienza ultratrentennale con Aldo e Giovanni è sempre stata impregnata di una allegria contagiosa, mai greve. Quale può essere secondo te il ruolo dell’arte (e anche dell’arte di far ridere) nella ricerca del senso della vita?

La risposta che voglio dare forse è scontata, ma è esattamente quello che penso: il vero esercizio artistico, nelle sue diverse forme, è sempre una ricerca del senso della vita; altrimenti diventa puro estetismo o decorazione, non arte. E la comicità non fa eccezione: anch’essa ti indirizza verso un senso profondo. Svelando certi meccanismi quotidiani può far riflettere sul senso delle cose che facciamo e può correggere.

Dal 2019, insieme Luca Doninelli e Gabriele Allevi, avete preso in gestione il Teatro Oscar, a Milano, col progetto deSidera. Che ruolo può avere il teatro nel restituire umanità alle nostre città?

Milano è una città che ha più di 50 teatri, ma noi pensiamo che il teatro fatto in un certo modo debba aiutarci a riflettere su quello che facciamo, uscendo dal vortice della frenetica attività in cui siamo tutti immersi ogni giorno. Cerchiamo tutti ansiosamente il benessere ma rischiamo di perdere il senso del nostro agire e la vocazione specifica del teatro può essere esattamente quella di interrogarci sul senso delle cose che facciamo.

Qualche tempo fa per Sovvenire intervistammo un prete vignettista, che in arte si fa chiamare “Gioba” e come titolo di quel servizio scegliemmo: “Dio è una cosa seria… mica triste”. Ti piace questa frase?

La comicità è una cosa da ridere, ma è serissima, mi viene da dire ribaltando questa affermazione, che naturalmente condivido. Dietro la scoperta di Dio non può mai esserci tristezza, qualunque cosa ci succeda: quello che percorriamo è sempre un tragitto che conduce a qualcosa di più grande, di eterno. La tristezza è quella che coglie l’essere umano quando vive la sua temporalità come una mancanza irreparabile. Triste sarebbe se dopo la morte non ci fosse più nulla, ma la fede ci insegna che non è così.

L’ultima domanda non è all’artista Giacomo ma al papà di Emanuele, 16 anni… Quanto è difficile nel contesto attuale educare i nostri ragazzi alla fede? Quanto abbiamo bisogno, per questo, di sacerdoti capaci di comunicare con loro?

La difficoltà non è grande, ma grandissima. Viviamo in un periodo storico in cui la questione della fede è relegata al di fuori delle priorità, se non addirittura accantonata o derisa. Con nostro figlio io e Daniela abbiamo cercato di trasmettergli questi valori, ovviamente nella libertà delle persone: lui deciderà cosa fare. Io stesso, lo dicevamo prima, a un certo punto del mio percorso mi sono allontanato, ma la cosa importante è che rimanga sempre nel cuore questa nostalgia, questo dubbio, questa sensazione che manchi qualcosa. Quella curiosità che ci porta a chiederci chi ci ha fatti, a quale scopo. Se non muore questa domanda, siamo per metà salvi.

(intervista di Stefano Proietti)

Chi è: comico, attore, scrittore

Classe 1956, lombardo di Villa Cortese, vicino Legnano, Giacomino Poretti è cresciuto nell’oratorio del suo paese, dove per la prima volta ha calcato un palcoscenico. Ben presto lascia la scuola e la sua famiglia d’origine per guadagnarsi da vivere prima come metalmeccanico, poi (per ben 11 anni) come infermiere, mentre continua a coltivare la passione per la scena frequentando la scuola teatrale di Busto Arsizio. Dopo qualche anno come capovillaggio, in Sardegna, inizia a tutti gli effetti a lavorare nella televisione, nel teatro e nel cinema. La svolta della sua carriera arriva nel 1991, quando a 35 anni si unisce a Giovanni Storti e Aldo Baglio dando vita al trio che da più di 30 anni fa ridere l’Italia, con garbo e acume. Dopo il matrimonio con Daniela Cristofori (con la quale nel 2006 è diventato anche papà di Emanuele) si è riavvicinato alla fede. Oltre a diverse pubblicazioni e all’esperienza di conduzione fatta nel 2018 su Tv2000, dal 2019 Giacomo ha preso in gestione, insieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi, il teatro Oscar di Milano, con il progetto deSidera.

Guarda il video dell’intervista…

20 Marzo 2023
raccontaci

Hai una storia da raccontarci?

Condividi la tua esperienza, ti potremo contattare per saperne di più.

Iscriviti alla nostra newsletter