6 Luglio 2023

Napoli: don Tonino Palmese nuovo Garante dei detenuti

Avvenire ha intervistato il nuovo Garante dei detenuti di Napoli, il salesiano don Tonino Palmese, con una lunga esperienza nelle carceri e a fianco delle vittime dei reati. Il sacerdote, di cui già diversi anni fa vi avevamo raccontato il lavoro educativo con giovani e famiglie disagiate, è stato scelto il 5 luglio dal Sindaco di Napoli e ci ricorda l'importanza dell'andare «verso l’altro» per ritrovarsi.

Don Tonino Palmese, 66 anni, salesiano da oltre trenta, è stato scelto dal sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, come nuovo Garante dei diritti dei detenuti nel capoluogo campano. Prende il posto di Pietro Ioia, arrestato nell’ottobre del 2022, con l’accusa di aver introdotto sostanze stupefacenti e cellulari nel carcere di Poggioreale.

Don Tonino perché un salesiano è stato scelto come Garante?
La mia identità storica e sacerdotale coincidono. In questo c’è la forza e la bellezza del cristianesimo incarnato dove la separazione non impedisce alle persone di restare prete all’altare e cittadino nella storia.

Sulla sua strada, come presidente della Fondazione Polis, da circa vent’anni, ci sono i familiari delle vittime innocenti della criminalità… 
Da tempo ci siano posti, con i familiari, il problema di come non emarginare dalla nostra riflessione il volto dell’altro: i colpevoli, quelli che hanno determinato nella vita delle vittime innocenti il dolore e la sofferenza. Questo percorso, iniziato prima nel carcere minorile di Nisida, poi, a Poggiorea-le
 e Secondigliano, mi ha dato la possibilità, insieme ai familiari delle vittime, di comprendere che quando si costruisce un ponte tra le vittime e i colpevoli si realizza un primo vero “miracolo”: l’esodo dalla propria condizione di rassegnazione perché vittima o perché colpevole. L’unico motivo per uscire è l’incontro verso l’altro da me: in questo andare verso l’altro c’è la possibilità anche di uscire dalla propria condizione di sudditanza, sia di chi ha subìto, sia di chi ha commesso l’errore.

In questi anni ci sono stati degli incontri di riconciliazione importanti – fra tutti, Lucia Montanino, vedova di Gaetano, guardia giurata, uccisa durante una rapina e che ha scelto di riconciliarsi con il giovane che lo ha ucciso – che l’hanno portata anche a diventare referente della giustizia riparativa per la diocesi di Napoli…
Credo che nella domanda c’è già l’ermeneutica della risposta perché la parola esatta è “riconciliazione”. Molte volte si utilizza in maniera impropria una parola che alla povera vittima o al povero colpevole determina frustrazione e anche la vergogna di non aver capito che cosa fare: cioè “perdono”. L’esperienza più vera e più matura è, invece, quella della riconciliazione che avviene a diversi livelli: con se stessi perché se si decide di poter dialogare con il mondo dei colpevoli vuol dire che si sta già superando il respingimento o l’odio per quello che è accaduto. Poi, c’è un’altra riconciliazione: imparare ad avere compassione dell’altro che nasce con l’incontrarsi, guardarsi negli occhi, fare memoria di ciò che è accaduto. Nel fare memoria – vittima e colpevole – si rendono conto, spesso, di stare dalla stessa parte: questa forma di riconciliazione – che è supportata dalla memoria dell’accadimento – è già una forma emancipata di riconciliazione.

Lei andrà in carceri dove c’è il problema del sovraffollamento, edifici fatiscenti, dove sarà necessario garantire la dignità dei detenuti, ma dove c’è anche il mondo di tutti gli agenti con cui relazionarsi… 
Credo che il personale carcerario debba recuperare quanto più possibile – ovviamente non sono io il legislatore in tal senso – la dignità di essere i custodi e praticanti della Costituzione che, di fatto, si fa prossimità alle persone detenute. Certamente immaginando la fatica e il disappunto probabilmente di tante persone che lavorano nel carcere perché questa dignità – come accade per i detenuti – anche a loro non è riconosciuta. Noi abbiamo una carta costituzionale che è così intrisa di umanesimo cristiano che prevede nell’incontro con il detenuto non la soddisfazione di una vendetta verso qualcuno che ha sbagliato, ma la possibilità di abbracciare e di accompagnare qualcuno che deve riemergere dalla condizione di sudditanza e di morte nella quale è immerso.

(di Rosanna Borzillo – da “Avvenire” del 6 luglio 2023, pag. 9)

Così ve lo avevamo raccontato nel 2012…

6 Luglio 2023
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