Piacenza, una casa per risorgere
Il parroco di Nostra Signora di Lourdes a Piacenza, don Giuseppe Lusignani, è il punto di riferimento della “Casa di accoglienza Don Paolo Camminati”, inaugurata nel novembre 2021 e destinata ai "lavoratori poveri", che pur avendo un impiego si trovano a rischio esclusione sociale. Don Paolo, cui la casa è intitolata, morì per il Covid poco prima che fosse inaugurata. Ma il suo sogno vive ancora, grazie anche a molti volontari.
“Abbiamo voluto trasformare questa casa in un luogo di speranza, dove chi ci passa può vivere la sua piccola resurrezione personale, un suo nuovo inizio”. Don Giuseppe Lusignani, parroco della comunità di Nostra Signora di Lourdes di Piacenza, parla così della “Casa di accoglienza Don Paolo Camminati”, inaugurata nel novembre 2021 e destinata ai working poor, i lavoratori poveri, coloro che pur avendo un impiego si trovano a rischio povertà ed esclusione sociale.
“La nostra è una parrocchia composita – spiega il sacerdote, già direttore dell’ufficio per i beni culturali ecclesiastici della diocesi di Piacenza-Bobbio – è nata tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta. A quell’epoca era la periferia di Piacenza, ora è inglobata all’interno della città. È una zona dove possiamo trovare sia case popolari che zone residenziali”. “Una delle caratteristiche del nostro territorio – aggiunge – è sempre stata l’immigrazione, prima quella interna, ora quella proveniente dall’estero, in particolare Europa dell’Est, Africa, America Latina. I dati parlano del 30% della popolazione che viene da fuori, ma tra i bambini e i ragazzi dell’oratorio la percentuale tocca anche il cinquanta per cento. Molti di loro sono attirati dalla logistica, che nella zona di Piacenza, soprattutto nella parte industriale e vicino allo svincolo autostradale ha vissuto un boom negli ultimi anni”.
Nel nome di don Paolo
Uomini e donne, per lo più immigrati, sottoposti a turni massacranti e spesso sottopagati, a cui si era rivolta l’attenzione di don Paolo Camminati, il predecessore di don Giuseppe come parroco di Nostra Signora di Lourdes. “Con la costruzione del nuovo oratorio nel 1994 – racconta don Giuseppe – la vecchia canonica, uno spazio da 400 metri quadrati, era rimasto sottoutilizzato. Veniva usato come luogo di studio, ma in particolare come deposito, un gigantesco ripostiglio della parrocchia. Lì, don Paolo, voleva realizzare un’opera segno, che potesse accogliere”. “Dopo un anno di riflessione con il Consiglio Pastorale – prosegue l’attuale parroco – era stato deciso di creare in quella vecchia canonica una casa per lavoratori precari, con lo scopo di accompagnarli in un percorso verso l’autonomia. Partendo dalla considerazione che essendo con contratti a termine nessuno o pochi gli avrebbe fatto un contratto di affitto e che la loro condizione di stranieri in quel contesto non li avrebbe aiutati”. Un progetto che viene rallentato dall’epidemia di Covid-19, con Piacenza, a una decina di chilometri da Codogno, dove venne accertato il primo caso in Italia, che è una delle zone più colpite con oltre 1600 morti. “La sera in cui viene presentato il progetto con un incontro pubblico – ricorda don Giuseppe – è il 20 febbraio 2020, poco prima del lockdown. Un mese dopo, il 21 marzo, don Paolo muore a causa del Covid”. “Per me era un amico fraterno – spiega emozionato il sacerdote – abbiamo lavorato insieme e ci conoscevamo da più di trent’anni”. A inizio febbraio 2021 don Lusignani viene assegnato alla parrocchia di Nostra Signora di Lourdes. “In quei dodici mesi – dice il parroco – era nato un comitato per sostenere la creazione della casa e un gruppo di lavoro per elaborare uno statuto”. Anche grazie a loro, nel febbraio 2021 partono i lavori di ristrutturazione della canonica. “Il progetto è quello di una struttura – dice don Giuseppe – destinata a ospitare al massimo sette lavoratori, maschi, inseriti in un percorso della durata di diciotto mesi”.
Un’opera di ammodernamento, dal costo di circa 340mila euro, finanziata in diversi modi: “Ci hanno sostenuto innanzitutto i fondi dell’8xmille destinati a culto e pastorale – spiega – oltre a Fondazione Piacenza e Vigevano, Fondazione BNL, Credit Agricole, Rotary Farnese e Confindustria locale: è stato importante anche l’apporto di consistenti donazioni private”. L’inaugurazione è avvenuta il 6 novembre 2021 e il giorno seguente sono arrivati i primi ospiti. “Fino ad ora – racconta don Giuseppe – sono passati dalla casa circa 25 ospiti, tra i 19 e i 55 anni. Molti, ma non tutti, sono stranieri e per una quindicina di loro il percorso ha avuto esito positivo”. “Gli ospiti della casa – aggiunge il parroco – sono indicati dalla Caritas e scelti anche dopo un colloquio in parrocchia. Abbiamo uno statuto e un regolamento in cui ad esempio chiediamo a chi entra nella Casa di Accoglienza di lasciare parte del proprio stipendio da accantonare per il loro futuro, di contribuire alle utenze e alle esigenze comuni, come le pulizie e i pasti, di cui almeno uno è in comune. In più è prevista la presenza di un educatore che segua le persone nel loro percorso, oltre a coordinare i volontari, circa venticinque che si alternano nella casa”.
I volontari
A farlo è Alessandro Ghinelli, 36 anni. “Sono un parrocchiano della comunità di Nostra Signora di Lourdes – racconta – ho sempre frequentato l’oratorio come educatore occupandomi soprattutto dei giovani, Il mio arrivo alla casa d’accoglienza è stato un incrocio fortunato. Si cercava una figura per questa struttura, preferibilmente proveniente dalla parrocchia e in quel momento io ero disponibile”. “Il mio lavoro è principalmente educativo – spiega – affianco gli ospiti fin da prima dell’ingresso nella casa, li accompagno nel distacco dalla precedente situazione abitativa, nell’entrata nella struttura, gli spiego ad esempio il regolamento e li supporto nell’inserimento, oltre a essere disponibile per i loro bisogni durante la permanenza”.
Oltre a questo, Alessandro lavora a stretto contatto con i volontari che permettono la gestione della “Casa di accoglienza Don Paolo Camminati”. “Quello che cerchiamo di offrire– illustra l’educatore – non è solo un posto letto o un pasto, ma il nostro intervento si basa soprattutto sulla cura delle relazioni, sull’amicizia, sullo stare insieme, sul conoscersi reciprocamente, perché vogliamo inserire queste persone in una comunità che li accoglie”. “I volontari – aggiunge Alessandro – si occupano da un lato di curare questo aspetto della relazione, ad esempio garantendo la loro presenza a cena mentre altri, in base alle loro disponibilità si occupano anche della parte più organizzativa, ad esempio le pulizie, l’accompagnamento degli ospiti per i documenti, il sostegno nella preparazione dell’esame della patente o la presenza alla cena in comune”. Un’esperienza, quella della casa di accoglienza che ha cambiato la vita ad Alessandro. “Mi si è aperto un mondo meraviglioso – sottolinea – a volte per scherzare dico che dovrei pagare io per fare questo lavoro. È un’esperienza che mi e ci permette di vivere la Carità, inteso soprattutto come Carità della relazione”. “Devo dire – prosegue l’educatore che aveva un rapporto lungo e consolidato di amicizia con don Paolo Camminati – che quello che sto facendo mi sta insegnando che davvero i poveri evangelizzano, ti toccano, anche se nella maggior parte dei casi non sono né cristiani e né cattolici”.
Per Alessandro e per don Giuseppe la casa d’accoglienza è una sfida continua. “Stiamo sempre tentando di sempre di tenere l’iniziativa a cavallo tra la sua natura parrocchiale e quella cittadina – dice il sacerdote- per continuare a tenere viva l’attenzione sulla questione del lavoro, in particolare quando è sottopagato”. Per il futuro, oltre che la sostenibilità economica del progetto, la parrocchia punta a far conoscere la storia della casa. “A febbraio – conclude don Giuseppe – in occasione della festa parrocchiale abbiamo aperto la casa per far sì che siano gli ospiti della casa ad accogliere la comunità e insieme si possa riflettere. Abbiamo realizzato un documentario “Verso Casa” e stiamo lavorando a un book fotografico che ci consenta con immagini professionali di raccontare le storie degli ospiti e fare un lavoro di denuncia di quello che succede”. Sempre nel segno della Carità e delle piccole resurrezioni personali.
(di Roberto Brambilla – foto gentilmente concesse da don Giuseppe Lusignani)