Rimettere insieme i cocci e ritrovare l’oro: a Milano si può
“Promozione Umana”, nata nel 1979 nell’hinterland milanese grazie all’opera di don Chino Pezzoli, oggi assiste più di 400 persone, dislocate su 12 comunità e 8 centri di ascolto in tutta Italia. Ce la racconta don Massimo Belotti, che da qualche mese segue la comunità per l'arcidiocesi di Milano.![](https://www.unitineldono.it/wp-content/uploads/2023/06/Antonello_don_Chino.jpeg-1366x597.jpeg)
Ritrovare se stessi, capire che ciascuno vale per ciò che è e che possiede già tutte le risorse per superare i momenti più bui, anche quando si parla di tossicodipendenza. È questo che contraddistingue un luogo di rinascita come “Promozione Umana”. Nata nel 1979 nell’hinterland milanese, grazie all’opera di don Gioacchino Pezzoli, per tutti don Chino, questa non è solo una fondazione attiva da oltre 30 anni, ma un tempo e uno spazio che ci si regala per tornare a vivere. I centri di accoglienza, le comunità e le attività svolte sono una possibilità di riscatto per le persone con dipendenze, grazie alla quale poter riconoscere la propria fragilità e trovare le migliori risposte per la propria vita.
Comprensione, accoglienza e lavoro sono i pilastri di questa realtà
che ad oggi assiste più di 400 persone, dislocate su 12 comunità e 8 centri di ascolto in tutta Italia.
Ma la fondazione non è solo questo. Lo racconta don Massimo Belotti, da settembre incaricato dell’arcidiocesi di Milano presso Promozione Umana. “Questa realtà è un’opportunità – spiega il sacerdote – per far capire ai ragazzi che cadono nelle dipendenze, come far venir fuori la propria umanità e far riscoprire loro che le difficoltà della vita non devono essere subite, ma devono essere affrontate”. Un’esperienza che ricorda l’arte giapponese del Kintsugi, nella quale i vasi rotti vengono riparati e impreziositi con l’oro.
“Quando uno riesce a mettere insieme i cocci della sua vita, trova quell’oro che gli permette di diventare prezioso. Se anche nel contesto sociale si capisse ciò – spiega don Massimo – non cercheremmo persone perfette, ma persone che risplendono d’oro, ma bisogna crederci”.
È ciò che succede nei centri di Promozione Umana. Spesso in comunità si arriva perché si inciampa nella propria fragilità. Di fronte ad una prima volta, che sia alcol, droghe leggere o pesanti, ci si dice “cosa vuoi che sia?” e ci si ritrova a naufragare nel proprio dramma. Ferite che toccano anche la vita di coloro a cui in apparenza non manca nulla. Antonello aveva tutto. Da ragazzo giocava a calcio, alle spalle un’impresa di famiglia ben avviata e poi è arrivato un momento in cui si è perso e pian piano è andato alla deriva. “Cosa ti manca? Mi chiedevano – racconta Antonello -. Nulla. Mi mancavo io. La comunità mi ha rafforzato, mi ha aiutato a mettere ordine, a conoscere me stesso, i pregi che non sapevo di avere e i difetti che non volevo vedere.
Ora sono una persona che si era persa e si è ritrovata”.
Oggi la sua vita di padre e compagno, la spende a cercare di dare speranza ai ragazzi accolti in comunità. Attraverso la sua testimonianza, li affianca nel percorso che, come dice loro, “è un vero e proprio viaggio introspettivo per star bene con se stessi, con gli altri e nel mondo e ovunque si può, perché la comunità è un momento dove tu ti fermi e investi sulla tua persona”. Ora Antonello coordina due strutture, una a Peschiera Borromeo (MI) e una a San Donato Milanese (MI), perché ha scelto di rimanere a lavorare nel luogo in cui è stato aiutato, preferendolo all’attività di famiglia. “Ho scelto di farlo perché ritengo di aver ricevuto moltissimo da questo posto per merito mio, di don Chino e di tutto l’ambiente, e mi sembrava giusto restituire ciò che ho avuto, non tenerlo tutto per me”. Si, perché accade spesso che i ragazzi che sono stati in comunità ora sono lì a restituire quello che hanno ricevuto.
Chi ha vissuto per primo il dramma della tossicodipendenza superandolo, adesso aiuta gli altri a fare lo stesso, un vero e proprio circolo d’amore.
Gli strumenti sono molti: dal lavoro fisico che tiene lontane le tentazioni, alla necessità di seguire delle regole, dall’aiuto di psicologi ed educatori alla vicinanza empatica. Un cammino che ruota attorno a una consapevolezza: chi sbaglia deve ripartire dal proprio errore, senza essere indentificato con esso, perché ciascuno è più dei propri errori.
(di Giacomo Capodivento – foto gentilmente concesse da “Promozione umana”)