25 Settembre 2023

Dossier. Giubileo: una chiave per comprendere Cristo e la Chiesa

Il 2025 è sempre più vicino ed è tempo di prepararci bene alla celebrazione del Giubileo. Padre Gian Matteo Roggio, missionario di Nostra Signora di La Salette e docente alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum di Roma, ci accompagna in un interessante viaggio tra la storia, il significato e la spiritualità di questo anno di grazia che ci attende.

Il termine “giubileo” viene dalla lingua ebraica e dalla parola “jobel” che, letteralmente, indica le corna dell’ariete: esse, infatti, venivano lavorate per poterle utilizzare sia nel culto che nella vita sociale come delle trombe, associando il loro suono a determinate situazioni e ai conseguenti comportamenti da assumere da parte dei singoli e dell’intera comunità. Come ci dice il libro del Levitico, il suono dello “jobel” aveva il compito di segnalare l’inizio di un anno particolare, diverso da tutti gli altri: l’anno della liberazione, con i comportamenti individuali e sociali che lo caratterizzavano. Un anno, quindi, dedicato a fare esperienza del cuore stesso della fede di Israele:

uscire da ogni forma di schiavitù e costruire spazi di libertà

in cui poter vivere rettamente la relazione con Dio, la relazione con gli altri, la relazione con il mondo, la relazione con se stessi.

Non è quindi un caso che il vangelo di Luca connetta strettamente e indissolubilmente il giubileo con Gesù: esso diventa “la” chiave per poter capire ed accogliere la persona e l’opera di salvezza che il figlio della Vergine, Maria, compie in mezzo al suo popolo (cfr. Lc 4,14-30). E così, è sempre Luca a descrivere, negli Atti degli Apostoli, la vita e l’opera della Chiesa come un giubileo donato gratuitamente da Dio in Cristo all’intera umanità, ebrei e non ebrei. In Cristo crocifisso e risorto, lo Spirito Santo fa uscire chi crede, a qualunque popolo appartenga, da ogni forma di schiavitù per renderlo costruttore di quegli spazi di libertà in cui la relazione con Dio, la relazione con gli altri, la relazione con il mondo e la relazione con se stessi diventano le pietre della strada che prepara il ritorno glorioso del Signore e il grande giorno della risurrezione della carne. Il giubileo è pertanto lo “spazio di incontro e di unità” tra Cristo e la Chiesa: chiave per comprendere l’uno e l’altra nella loro indissolubile unione, esso diffonde tra i popoli il “nuovo mondo” iniziato dalla predicazione del Signore e confermato dalla sua risurrezione, il mondo caratterizzato dalla giustizia e dalla pace evangelici, il mondo che si prepara a poter vedere Dio faccia a faccia.

Se il giubileo è, come abbiamo detto, la chiave per comprendere chi è e che cosa fa la Chiesa, non sorprende allora che la sua celebrazione sia sorta in un momento storico in cui forte era la necessità di dirlo davanti ai grandi mutamenti culturali e politici. Tutti ricordiamo Papa Bonifacio VIII, colui che, almeno a livello di fonti storiche, ne iniziò la pratica con la bolla Antiquorum habet fida relatio, pubblicata il 22 febbraio del 1300: era, quello, un momento di forti tensioni con i grandi poteri politici dell’epoca – soprattutto con la Francia – e tanti si chiedevano non solo quali dovessero essere i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, ma anche chi dei due detenesse, in modo legittimo, il potere supremo di stabilire leggi universali cui tutti dovessero obbedienza. Bonifacio VIII, istituendo il giubileo, diede la sua risposta: solo la Chiesa ha il potere di organizzare il tempo (l’anno santo sarebbe stato ripetuto ogni cento anni); e solo la Chiesa ha il potere di donare all’umanità ciò di cui più ha necessità, vale a dire il perdono dei peccati sia a livello di colpa che di pena connessa (quel che chiamiamo “indulgenza”). Solo la Chiesa, quindi, ha qualcosa che lo Stato non ha e non può avere. Solo la Chiesa, allora, detiene in modo legittimo il potere supremo di stabilire leggi universali valide per tutti, nessuno escluso.

Certo, questi ragionamenti ci sembrano lontani nel tempo, nella sensibilità e nel modo di pensare. Non siamo più nel Medioevo: lo Stato non ha più, in Occidente, una religione in cui identificarsi e la Chiesa riconosce la libertà religiosa come un diritto inalienabile della persona umana. Ciò vuol dire che problemi eguali a quelli del tempo di Bonifacio VIII non esistono più. Però rimane vero ancora oggi che la celebrazione del giubileo – inizialmente fissata dallo stesso Bonifacio VIII ogni cento anni, poi ridotti a cinquanta da Papa Clemente VI nel 1343, a trentatré da papa Urbano VI nel 1389 e infine a venticinque da Papa Paolo II nel 1470 – è un tempo privilegiato per ridire e riscoprire la natura della Chiesa e il tesoro che ella continuamente riceve dal Cristo perché sia condiviso con tutti, specialmente i più poveri, come avvenne con Pietro e Giovanni agli inizi della Chiesa di Gerusalemme (cfr. At 3,1-8).

Il giubileo è, prima di tutto, trovare e/o ritrovare il tempo di conoscere chi è Gesù, il figlio della Vergine Maria, rispondendo alla domanda che egli pose ai suoi discepoli a Cesarea di Filippo (cfr. Mc 8,27-38) e che continua a porre a chi si avvicina a lui o sente parlare di lui (cfr. Gv 1,35-39). Il giubileo è il tempo di confrontare quel che sappiamo (o pensiamo di sapere) su Gesù con coloro che ci possono rispondere con la verità di chi è stato testimone e non ha interessi di parte da difendere: gli apostoli. Tantissimi, infatti, parlano di Gesù e nei modi più diversi, arrivando spesso anche a contraddirsi e a farsi la guerra, quantomeno con le parole e le accuse reciproche. Come orientarsi in questa tribuna quasi infinita di oratori, amplificata e dilatata oggi dagli spazi aperti dalle nuove tecnologie, senza perdere la bussola della verità? Ascoltando gli apostoli. Ecco qui il senso del

pellegrinaggio alla tomba degli apostoli, a Roma, diventato il “grande segno” per eccellenza del giubileo

per la presenza in essa di Pietro e di Paolo. Il venire fisicamente al luogo dove si conservano i loro resti mortali, varcando la porta delle basiliche a loro dedicate, è la manifestazione della volontà di ascoltare quanto essi hanno da dire, non su se stessi, ma su colui che ha riempito la loro vita con il futuro inaspettato e insospettabile di Dio. La loro morte non è un ostacolo: essi continuano a parlare nelle Scritture del Nuovo Testamento, che ne raccolgono la predicazione, alcuni dettagli della loro vita e l’esito finale della loro esistenza terrena. Per cui sono le Scritture a guidare l’andare e il ritornare dalle tombe dove essi aspettano con tutti noi e con tutti i nostri defunti, bisognosi delle nostre preghiere, il grande giorno della risurrezione: sono le Scritture a riempire di senso questo pellegrinaggio e a svilupparne le possibilità.

Il giubileo è, di conseguenza, trovare e/o ritrovare il tempo di conoscere chi è la Chiesa, il perché della sua esistenza e il senso della sua missione. Anche qui, se vogliamo una risposta oggettiva e vera, in mezzo alle tante opinioni possibili, abbiamo nuovamente bisogno di ascoltare la testimonianza degli apostoli, perché la forma della Chiesa può e deve cambiare lungo il corso della storia. La Chiesa non è e non deve essere, nelle sue strutture organizzative e nei suoi riti, un monolite granitico, che non cambia mai: nella Chiesa, tutto è “in uscita”, come dice Papa Francesco; cioè tutto serve a dialogare con le culture in modo tale da annunziare il Vangelo senza snaturarlo e in maniera che sia comprensibile e condivisibile per i contemporanei. Quello che non cambia e non deve cambiare nella Chiesa è la sua sostanza, cioè il suo essere, per grazia di Dio, il “punto di incontro” reale e non immaginario tra Cristo risorto e coloro che, nel corso della storia, ascoltano la sua parola e credono in lui, attraverso la Parola, i Sacramenti, i Carismi e la Preghiera. E sono gli apostoli a dirci ancora oggi come questo avvenga. Varcare la porta santa delle basiliche romane significa pertanto accogliere la credibilità della Chiesa e sostenerne la fedeltà all’insegnamento apostolico anche e soprattutto quando questo implichi conversione, metanoia, penitenza per le infedeltà compiute.

Infine, il giubileo è trovare e/o ritrovare il tempo di appartenere visibilmente a Cristo e alla Chiesa, diventandone pietre vive (cfr. 1 Pt 2,1-10) attraverso la pratica dell’amore per Dio e per il prossimo, liberandolo fino all’amore del nemico per aprire le porte al futuro di Dio che solo può garantire quella pace che, altrimenti, rimane sempre bloccata e incompiuta, se non addirittura tacciata di vigliaccheria e di ingiustizia, diventando pellegrini e artefici di riconciliazione nelle “periferie esistenziali” del dolore e della violenza.

(di Gian Matteo Roggio, MS)

25 Settembre 2023
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