9 Febbraio 2024

Dossier. Riconciliazione: l’amore di Dio ci guarisce dal peccato

Il nuovo decano della facoltà di teologia dell'Università Lateranense, don Angelo Lameri, riflette sul sacramento della Riconciliazione, che sta registrando un preoccupante calo di frequenza da parte dei fedeli. Rileggendolo secondo le categorie dell’ospedale da campo (tanto caro a Papa Francesco), ci invita a riscoprirne l’immensa forza risanatrice. Specialmente con la Quaresima...

Il tempo liturgico della Quaresima, tradizionalmente caratterizzato dalla riscoperta del proprio battesimo e dalla dimensione penitenziale, è occasione propizia per riflettere su un sacramento oggi particolarmente in crisi: quello della Penitenza, chiamato popolarmente anche “confessione”. I segnali della crisi sono molteplici, a partire da quello più evidente: il calo della frequenza. Il periodo di emergenza a causa del covid ha ulteriormente incrementato la disaffezione al sacramento. La prossimità al sacerdote confessore, prima evitata per non correre il rischio del contagio, viene poi considerata non così necessaria per la propria vita spirituale.

Un secondo segnale è poi sotto gli occhi di tutti i confessori: molti di coloro che si accostano al sacramento, specie nelle grandi occasioni del Natale e della Pasqua, appaiono impreparati. Non sempre vi è una preparazione con un serio esame di coscienza, guidato dalla parola di Dio. Molte volte il dialogo con il sacerdote – ciò che tradizionalmente è chiamata “l’accusa” dei peccati – viene inteso soprattutto come una chiacchierata, un’occasione per sfogarsi raccontando i propri problemi, o magari quelli che sono considerati i peccati dei figli, dei mariti, delle mogli… dimenticando i propri.

Vi è poi una seria e preoccupante perdita della percezione del peccato dovuta a volte a un senso di appartenenza parziale alla Chiesa o a una soggettivizzazione della fede, intesa come realtà solo dell’individuo, che esclude ogni mediazione. Vi è anche una sensibile perdita delle evidenze etiche, conseguente anche al fatto di una formazione della coscienza che si nutre indistintamente a varie fonti non sempre coerenti tra loro e soprattutto con il Vangelo.

Per la nostra riflessione propongo allora di partire dalle parole che un decennio fa papa Francesco rivolse ai parroci di Roma: «La Chiesa oggi possiamo pensarla come un ospedale da campo. Questo scusatemi, lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un ospedale da campo. C’è bisogno di curare le ferite! C’è tanta gente ferita dai problemi materiali, dagli scandali, anche dalla Chiesa… Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino alla gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite» (6 marzo 2014). Proviamo a riprendere questa immagine di Chiesa quale ospedale da campo, senza naturalmente la pretesa di accostarla a quelle più bibliche e teologiche presenti nella Costituzione conciliare Lumen gentium, ma cercando di mettere in luce la sua forza evocativa, proprio in relazione all’annuncio della misericordia e al dono sacramentale della stessa.

Prima di tutto l’espressione ospedale da campo ci rimanda a un contesto di “guerra”, di battaglia. Gli ospedali da campo trovano lì la loro ragion d’essere. Siamo così ricondotti al tema della lotta. È un’immagine molto diffusa e cara ai Padri della Chiesa associare la vita cristiana a un combattimento. Già san Paolo esortava gli Efesini a indossare l’armatura di Dio per resistere alle insidie del diavolo: «La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12). Si apre in questo modo anche la Quaresima: «O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male» (Mercoledì delle Ceneri, Colletta). L’orazione fa ricorso al combattimento quale figura del cammino di conversione quaresimale. E nel combattimento si viene feriti! Si avverte la fatica e la sofferenza. La grazia al sacramento della Penitenza non è diretta solo al perdono dei peccati, suo principale effetto, ma anche a rinvigorire, con la forza dello Spirito, la gioia dell’essere cristiani.

Ospedale da campo ci rimanda poi alla “prossimità”. A differenza degli ospedali in muratura, che hanno una loro fissa e stabile collocazione, gli ospedali da campo sono mobili, arrivano là dove vi è il bisogno, dove la battaglia è più dura. E dall’ospedale partono coloro che si recano sul campo a cercare e a raccogliere i feriti. In fondo è la riedizione della lettura agostiniana della parabola del Buon Samaritano, che il vescovo di Ippona legge in relazione all’azione della Chiesa: «I briganti ti hanno abbandonato sulla via, tra la vita e la morte, però, mentre eri disteso a terra, sei stato trovato da un misericordioso samaritano di passaggio, è stato sparso su di te vino e olio, hai ricevuto il sacramento dell’Unigenito, sei stato sollevato sul giumento di lui, hai creduto nel Cristo incarnato, sei stato condotto nella locanda, vieni curato dalla Chiesa» (Discorso 179a). È anche una moderna ripresa della parabola del Buon Pastore, che va alla ricerca della pecora perduta. Questo secondo aspetto è da un lato monito ai sacerdoti perché sappiano dedicare tempo e offrire disponibilità all’ascolto e dall’altro a tutti coloro che a volte devono solo vincere un po’ di pigrizia e recarsi all’incontro che risana.

Ospedale da campo infine ci riconduce alle ferite e alla loro cura. Qui siamo ricondotti a un’altra tipica immagine consegnataci dalla tradizione, che lega i sacramenti cristiani al linguaggio della medicina. I termini “rimedio”, “farmaco”, “medicina”, presenti nelle orazioni del Messale ci rimandano di nuovo al mondo della malattia e soprattutto della terapia. I Vangeli, per altro, amano presentare Gesù come medico compassionevole, dei corpi e delle anime. Dei circa sessanta racconti di gesti taumaturgici da lui compiuti, ben quarantasette riguardano guarigioni. E nel Nuovo Testamento la malattia è vista come simbolo dello stato in cui si trova l’uomo peccatore, spiritualmente cieco, sordo, muto, paralitico. Di conseguenza la guarigione del malato è simbolo della guarigione che Gesù opera negli uomini che nella fede si rivolgono a lui. Ancora una volta siamo ricondotti al sacramento della Penitenza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, annovera la Penitenza tra i sacramenti di guarigione: «Il Signore Gesù, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, ha voluto che la Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra. È lo scopo dei due sacramenti della guarigione: del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli Infermi» (n. 1421). Vorrei soffermarmi proprio sui questa chiave di lettura. Anche se il carattere terapeutico del sacramento della Penitenza è particolarmente caro alle Chiese d’oriente, esso non è del tutto estraneo nemmeno all’occidente latino. Nel medioevo il penitente apriva il suo cuore al monaco, esperto della vita dello spirito, per essere aiutato a curare le proprie infermità. Ma anche al Concilio di Trento, pur difendendo il carattere penale della soddisfazione, i Padri ammettono che essa è anche «presidio per la nuova vita e medicina per l’infermità» (DS 1692). L’idea è ripresa dal Rito della Penitenza oggi in vigore. Nella sua introduzione, a proposito della soddisfazione – cioè la penitenza che il sacerdote assegna prima dell’assoluzione – si afferma che essa è medicina efficace con la quale il penitente può curare il suo male.

Il sacramento della Penitenza è intrinsecamente legato alla vita della Chiesa e del cristiano. Se infatti la misericordia è il più grande attributo di Dio, la Chiesa vive autenticamente il suo essere corpo di Cristo quando proclama la misericordia e la dispensa. Scriveva san Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in misericordia (1980) che missione della Chiesa è accostare gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore: «Gran significato ha in questo ambito la costante meditazione della parola di Dio e, soprattutto, la partecipazione cosciente e matura all’Eucaristia e al sacramento della Penitenza o riconciliazione. L’Eucaristia ci avvicina sempre a quell’amore che è più potente della morte […]. Lo stesso rito eucaristico, celebrato in memoria di colui che nella sua missione messianica ci ha rivelato il Padre, per mezzo della parola e della croce, attesta quell’inesauribile amore in virtù del quale egli desidera sempre unirsi ed immedesimarsi con noi, andando incontro a tutti i cuori umani. È il sacramento della Penitenza o riconciliazione che appiana la strada ad ognuno, perfino quando è gravato di grandi colpe. In questo sacramento ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia, cioè quell’amore che è più potente del peccato» (n. 13). In fondo il nocciolo del sacramento della Penitenza sta proprio qui: sperimentare l’amore, più potente di ogni peccato!

(di Angelo Lameri)

9 Febbraio 2024
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